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Nel 2020 il liceo sarà tecnico

di Daniele Checchi

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23 Marzo 2010

Il dibattito scaturito dalle riforme recentemente introdotte sull'ordinamento delle scuole superiori italiane sembra ruotare intorno a due punti: l'importanza dell'istruzione tecnica da un lato e il contributo svolto dal liceo (in particolare da quello classico) nella selezione delle élite. Senza voler negare il ruolo storicamente assolto dalla struttura tripartita del nostro sistema scolastico secondario (licei, istituti tecnici e istituti/scuole professionali) è forse utile domandarsi se questo assetto sia altrettanto adeguato per le sfide future.
Gli studi scaturiti dalle indagini internazionali sulle competenze degli studenti mostrano in modo incontrovertibile che i paesi caratterizzati da una struttura della scuola secondaria ripartita per indirizzi in termini di competenza conseguono risultati mediamente inferiori e più diseguali. L'esistenza di percorsi differenziati induce gli studenti e le loro famiglie a scegliere percorsi scolastici a loro socialmente e culturalmente più omogenei. Come ha mostrato l'ultimo rapporto della Fondazione Agnelli, questo induce i figli di genitori laureati a scegliere in misura quasi assoluta i licei, i figli dei genitori diplomati a iscriversi in misura prevalente agli istituti tecnici e così via.
Questa forma organizzativa, di derivazione franco-prussiana, ha degli indubbi meriti: data la maggior omogeneità sociale e culturale delle classi, i metodi didattici vengono maggiormente adattati alle esigenze e alle capacità degli studenti. Questo potenzia l'eccellenza in molti licei, e permette di tenere negli istituti professionali studenti che altrimenti molto probabilmente abbandonerebbero la scuola. Tuttavia questa stessa organizzazione ha rivelato anche molti limiti: il principale è dato dalla sua rigidità.
Uno studente esce normalmente dalla scuola dell'obbligo avendo fatto esperienza di socializzazione con la varietà umana, e avendo visto che le capacità dei più brillanti possono essere di traino per i meno brillanti. Quando entra nella scuola secondaria tende a perdere queste opportunità, per via del fatto che si ritrova in una classe di gente simile a lui, in una scuola di gente molto simile a lui. Un po' come passare da una scuola mista a una scuola maschile o femminile. Può essere che la produttività nell'apprendimento ne benefici, ma certamente la capacità di cittadinanza (quella che gli anglosassoni chiamano civicness) sicuramente ne soffre.
Da questo punto di vista esistono ordinamenti scolastici che cercano di combinare la dimensione della cittadinanza con quella del potenziamento degli apprendimenti. Per esempio, il modello anglosassone della scuola secondaria mantiene tutti gli studenti all'interno della stessa scuola, d'impianto generalista, differenziando però i livelli d'insegnamento nelle materie più rilevanti. Per esempio la matematica viene insegnata a un livello base e a un livello potenziato: gli studenti possono scegliere quale corso seguire, sulla base delle proprie capacità e aspirazioni. Con questa modalità di organizzazione didattica si perde la nozione rigida di classe come gruppo predefinito di studenti, perché le classi si formano di volta in volta secondo il livello scelto/preassegnato dagli studenti.
In modo analogo l'esame finale non è uguale per tutti, ma ciascuno studente sceglie le materie (di solito 3 o 4) su cui sostenere l'esame, alla luce del tipo di facoltà universitaria cui aspira, nonché del grado di selettività dell'università cui fa domanda. Anche in questo caso non è quindi possibile parlare di orientamento accademico o tecnico di una scuola, perché tutto si costruisce sul percorso individualmente deciso dal singolo.
Ma potremmo spingerci ancora più in là con l'immaginazione. In un convegno organizzato dalla Fondazione per la scuola lo scorso anno sul tema «Un giorno di scuola nel 2020», si sono ascoltate relazioni in cui si raccontava di studenti fruitori dell'insegnamento à la carte, con insegnanti/ricercatori e bibliotecari sempre online, dove le materie non esistevano più, ma ogni studente costruiva il suo percorso individuale di ricerca.
Forse non assisteremo mai ad una siffatta scuola. Ma quello che conta è che il dibattito internazionale non si occupa ormai più del contenuto delle materie insegnate, quanto delle modalità e del contesto in cui l'insegnamento avviene. Fossilizzarsi sul punto se sia meglio il greco o la matematica per sviluppare le capacità di astrazione degli adolescenti non sembrerebbe essenziale. Molto più importante appare invece la formazione della capacità di autonomia e di progettazione richieste da una modalità didattica meno ingessata. Il concetto di classe scolastica perderebbe la sua rilevanza, con il guadagno di esporre gli attuali studenti a un'esperienza d'incontro più ricca di quella che ottengono dagli attuali licei o dagli istituti professionali.

23 Marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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