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IL TAGLIO DELL'IRAP / Una mossa giusta, ora diventi realtà

di Guido Gentili

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23 Ottobre 2009
Il premier Silvio Berlusconi all'assemblea degli industriali di Monza (Afp Photo)

«Questa è la volta buona» per le riforme, aveva detto il premier Silvio Berlusconi all'assemblea degli industriali di Monza dieci giorni fa. Cominciamo con l'abbassare le tasse sulle imprese e partiamo dall'Irap, gli aveva appena ripetuto la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia nelle ore in cui una tagliente dichiarazione del ministro dell'Economia Giulio Tremonti suonava così: «Riformare l'Irap? Se la togliamo, la togliamo e basta».
Passate meno di due settimane, e alla vigilia del convegno degli industriali a Mantova dedicato alle piccole e medie imprese, Berlusconi gioca le sue carte sul fisco e in particolare il jolly-Irap, annunciando (via Gianni Letta) all'assemblea degli artigiani Cna che il governo ha allo studio una serie di interventi per ridurre la pressione fiscale, aumentare i consumi e agevolare gli investimenti. Tra questi, il taglio graduale dell'Irap (come per primo aveva suggerito dalle colonne di questo giornale il rettore della Bocconi Guido Tabellini) «fino alla sua soppressione», l'estensione della Tremonti-ter sulla detassazione degli utili reinvestiti e un «sostegno stabile» alle piccole imprese che investono in innovazione e ricerca.
Dunque, la questione fiscale ritorna di prepotenza al centro dell'iniziativa del governo in chiave pro-ripresa, e questo è il primo dato, oggettivo, da cui partire. La scelta dei tempi non è casuale. Dal blocco elettorale che aveva premiato a piene mani il Pdl e la Lega, vale a dire il popolo delle piccole e piccolissime imprese, delle partite Iva, dei commercianti, degli artigiani e di buona parte delle aziende medie e dei professionisti, s'era alzato forte il vento per una richiesta d'azione. Lo stallo riformista non è nelle corde di questo popolo né di tutti coloro che a vario titolo sociale attendono una svolta in direzione di un paese che si sviluppa, crea ricchezza e posti di lavoro (fissi e mobili).
Berlusconi ha compreso di dover uscire dall'angolo fatto di polemiche senza sbocco in cui in parte è stato costretto e in parte si è cacciato egli stesso. "L'editto" russo sul fisco - il premier è a San Pietroburgo- taglia alla radice, almeno per il momento, le manovre e i dissapori interni al Pdl che si sono coagulati intorno al ruolo e alle politiche "prudenti" del ministro Tremonti, accusato (chi non ricorda il 2004, quando sfociarono nelle dimissioni?) di essere un solista sordo alle richieste di tutto il resto dell'orchestra ministeriale. Oggi, non c'è spazio né per restare fermi né per bruciare, oltre il sostegno decisivo della Lega Nord, la credibilità internazionale che Tremonti ha costruito in questa fase di crisi difficilissima.
Il secondo dato riguarda, nel merito, la manovra per tagliare l'Irap, tassa voluta nel 1997 dall'allora ministro Visco e dal governo di centro-sinistra. Berlusconi, già dieci anni fa, definendola una "Imposta-RAPina" che colpiva chi dava lavoro e addirittura chi aveva i bilanci in perdita, ne colse, con l'idea del suo superamento, l'implicita carica positiva in termini elettorali. Idea riproposta negli anni successivi, ma mai approdata davvero allo stadio del taglio significativo. Si sa che questa tassa vale circa 38 miliardi di gettito e serve a finanziare la disastrata sanità.
La sforbiciata sarà graduale, ma è chiaro che dovrà essere visibile in termini politici e rilevante in termini economici. Dovrà, insomma, tradursi in un fatto concreto e lasciare una volta per tutte le sponde di un annuncio a futura memoria. Tre, quattro miliardi solo per iniziare? La parola torna a Tremonti e alla cifra che sarà catalogata sotto la voce dello Scudo per i capitali rimpatriati. Su questo terreno(e sui risultati della lotta all'evasione) si gioca gran parte della partita del governo.
Terzo ed ultimo dato. Una volta accertato lo spazio d'intervento, occhio alla pioggia di richieste per minori entrate e maggiori spese. Subito dopo l'intervento di Berlusconi, la Cgil ha chiesto per esempio la precedenza per i tagli fiscali ai lavoratori e ai pensionati e la Cisl "meno tasse per tutti". All'interno della maggioranza, la finanziaria asciutta come un'alice che Tremonti ha apparecchiato da luglio per evitare assalti alle casse pubbliche non soddisfa le domande (a volte giustificate, molto spesso ingiustificate dato il debito pubblico) di diversi ministri che guardano tutti al "tesoretto" dello Scudo prossimo venturo. Si tratta nel complesso di 12-15 miliardi di richieste che pioveranno sul tavolo di Tremonti e, in parallelo, su quello del sottosegretario Letta, al quale ogni titolare di dicastero chiederà una "mediazione".
Tutto già visto. Ma a parlare dovranno essere i conti, in un quadro generale in cui si affacciano nuovi problemi, come ha detto ieri il Governatore Mario Draghi. C'è la necessità di ridurre la spesa pubblica in modo da creare i maggiori spazi possibili per tagliare la pressione fiscale che ha raggiunto (43%) i livelli più elevati degli ultimi decenni. Conviene ricordare a questo proposito i livelli del disavanzo pubblico (5,3% in rapporto al Pil nel 2009, doppio rispetto al 2008) e del debito pubblico (115,1% in rapporto al Pil nel 2009, nove punti in più sul 2008).
Pochi ne parlano, del contenimento e della riqualificazione della spesa. Però i due punti sono stampati anche nel Dpef approvato dall'intera orchestra governativa e poi dal Parlamento a luglio, e non solo dal solista Tremonti.
Giù le tasse, ma giù anche le spese.

guido.gentili@ilsole24ore.com

23 Ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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