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VALUTA DI RIFERIMENTO / Euro forte non scaccia dollaro

di Jean Pisani-Ferry * e Adam Posen **

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23 Ottobre 2009

Il dibattito che è nato sulla fine del dollaro come valuta globale è stato istruttivo, benché in buona parte prematuro. In tale frangente, tuttavia, ha destato scalpore l'assenza dell'euro tra le alternative prese in considerazione per la valuta globale. Si sono presentate proposte per panieri valutari, diritti speciali di prelievo, perfino per l'internazionalizzazione del renminbi, ma quella più ovvia - l'euro - non è stata neppure citata.
Questo sarebbe dovuto essere il periodo dell'euro. Già adesso è la seconda valuta globale. Il grande divario tra il ruolo preponderante del dollaro e l'entità dell'economia statunitense è da tempo riconosciuto. La crisi sta accelerando la caduta della percentuale statunitense nel Pil globale e l'apparente trascuratezza della sostenibilità fiscale sta erodendo la relativa attrattiva del dollaro sul lungo periodo.
Nei dieci anni trascorsi dalla sua nascita, l'euro è stato un enorme successo per gli stati che l'hanno adottato. La sua attrattiva nella tempesta economica non è stata mai maggiore rispetto ad adesso per i membri dell'Unione Europea e le economie vicine. A prescindere dal momentaneo apprezzamento di questa valuta, tuttavia, nulla lascia intuire che l'euro si accinga a diventare la valuta globale. La quantità di dollari che costituiscono le riserve globali resta tuttora tripla rispetto agli euro. Durante la peggiore delle crisi, gli istituti nei guai richiedevano dollari ed è stata la Fed americana a fornire liquidità pari a 600 miliardi di dollari agli stranieri non-statunitensi tramite linee swap. Nulla del genere è accaduto per l'euro. In Europa, in conclusione, l'euro è un grande successo, ma resta una valuta regionale.
Si specula molto sull'eventualità di dare in qualche altra valuta il valore del barile di petrolio, ma non resta traccia di simili congetture nella gamma di prodotti e beni commercializzati in dollari; di sicuro non si fa cenno alcuno di voler passare all'euro. Le aziende che trattano prodotti commerciali fuori dall'eurozona vera e propria contano sui dollari come valuta per gli ordini e il saldo delle spettanze, riflettendo forse una certa inerzia, ma anche liquidità, disponibilità e trasparenza legale. Nessuna economia pare in procinto di lasciare l'aggancio al dollaro per passare all'euro.
Una delle ragioni alla base di questo fenomeno è che l'euro non ha superato i vincoli che si è autoimposto per essere utilizzato e adottato all'estero. Mantenendo rigidamente i requisiti di stabilità del tasso di cambio Erm-II e l'ammissione nell'eurozona in base a parametri e criteri precisi e fissi tra il deficit come contemplato dal trattato di Maastricht, l'inflazione e il tasso d'interesse, l'euro in pratica ha tenuto a distanza nuovi possibili proseliti. Scoraggiando l'"eurizzazione" e l'aggancio unilaterale all'euro, perfino nei paesi confinanti con l'eurozona, si è allargato il divario. Canalizzando la risposta alla crisi in Europa dell'Est tramite l'Fmi si è rafforzata l'opinione difensiva che la stabilità per l'eurozona sarebbe fragile, qualora questa fosse allargata.
Questa mancanza di leadership è una vero peccato, perché le alternative, nel momento in cui il ruolo del dollaro è in calo, sono peggiori. È risaputo che è difficile che i panieri valutari funzionino, specialmente se includono una valuta non convertibile. Anche la loro stabilità è dubbia, perché fanno affidamento su accordi politici incerti. Per quanto riguarda i diritti speciali di prelievo, nemmeno in questo caso si può parlare di autentica valuta.
Sarebbe meglio avere un periodo di predominio congiunto tra valute, che permetterebbe una transizione senza scossoni a un regime multivalutario. Questo è accaduto tra la sterlina e il dollaro, anche se negli anni 20 e 30 la mancanza di volontà da parte del governo statunitense di rendere più agevole questo processo ha portato a un vuoto di leadership e all'instabilità finanziaria. Noi temiamo che la reticenza da parte dell'euro ad assumere il ruolo di valuta globale possa portare in futuro a un'instabilità analoga.
Di fatto, le iniziative e i provvedimenti necessari ad assicurare un ruolo più ampio per l'euro sono nell'interesse economico e politico dell'eurozona stessa. L'integrazione finanziaria dovrebbe giungere a compimento ed essere puntellata da una solida supervisione europea; in secondo luogo la governance economica dell'Unione economica e monetaria dovrebbe essere rafforzata, soprattutto per quanto riguarda la gestione della crisi; terzo, la zona euro dovrebbe adottare una strategia maggiormente proattiva per l'allargamento ed essere pronta a fornire aiuto in termini di liquidità ai paesi membri dove la valuta è in uso; quarto, dovrebbe rafforzare la sua base economica alzando il tasso della crescita sostenibile.
Vi sembra familiare tutto ciò? Non è un caso: i vincoli imposti alla produttività della zona euro, all'apertura e alla governance sono a uno stesso tempo anche limiti che frenano il ruolo globale dell'euro. Eludendo alcuni dei sui doveri di valuta regionale, l'eurozona vincola un'adozione più ampia a livello globale dell'euro. La mancata presenza dell'euro nel dibattito sulle alternative al dollaro dimostra che queste omissioni interne mettono a rischio la stabilità futura monetaria in tutto il mondo.

* Jean Pisani-Ferry è direttore del think thank Bruegel
** Adam Posen è senior fellow al Peterson Institute
(Traduzione di Anna Bissanti)

23 Ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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