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MERCATI E REGOLE / Il pentimento del Maestro

di Mario Margiocco

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23 Ottobre 2009

Oggi è un anno esatto da quando Alan Greenspan, l'ex presidente della Federal Reserve, fu trascinato davanti a una commissione della Camera di Washington e lì ammise che sì, la totale fiducia nei mercati «non funzionava», come gli fu detto nell'interrogatorio. «Esattamente, precisamente», ammise Greenspan. Che ora entra a piedi uniti nel dibattito sulle nuove regole finanziarie e sul futuro delle grandi banche facendo una conversione a 180 gradi, a U, e allineandosi sulle posizioni del suo predecessore alla Fed, Paul Volcker, convinto che la banca troppo grossa per essere lasciata fallire sia anche troppo grossa da salvare e lasciare intatta (too big to fail is too big to save and too big to exist).
La grande banca è potenzialmente pericolosa, ha detto Greenspan il 15 ottobre parlando al Council on Foreign relations, a New York. L'ex governatore Fed (1987-2006) non è più l'oracolo di un tempo. Tuttavia fa un certo effetto sentire l'uomo che ha sovrainteso al gigantismo bancario americano perché il mercato sembrava chiederlo - episodio massimo la nascita di Citigroup nel 1999 - dichiarare che se le banche «sono troppo grandi per fallire, sono troppo grandi» e basta. «Il consenso sul futuro delle grandi banche incomincia a cambiare», commenta Simon Johnson, professore al Mit, ex capo-economista dell'Fmi.
Famoso per parlare in modo oscuro, per allusioni difficilmente interpretabili quando era al timone della Fed, Greenspan è stato chiarissimo il 15 ottobre a New York. «Nel 1911 abbiamo spezzato la Standard Oil e che cosa è successo? Le singole parti hanno acquisito più valore dell'insieme. E forse ora dovremmo fare la stessa cosa». Parlare del caso Standard Oil, il gruppo di John D. Rockefeller che arrivò a controllare il 90% del mercato petrolifero americano, è ricordare una delle più epiche battaglie dell'antitrust americano, che su acciaio, petrolio e l'intreccio finanza-industria ha fatto storia, un secolo fa.
Non solo, un Greenspan irriconoscibile ha puntato il dito contro la Fed del suo successore e allievo Ben Bernanke e contro la Casa Bianca di Barack Obama, cosa più comprensibile data l'incrollabile fede repubblicana dell'ex Governatore. «Non penso che aumentare le riserve o il capitale o tassare le grandi banche sia sufficiente - ha detto Greenspan riassumendo così quello che Washington vuole invece fare -. Assorbirebbero questo, riuscirebbero a convivere, sono misure del tutto inefficienti e oltretutto avrebbero sempre a disposizione i risparmi», dei clienti. «Se non si neutralizza il too big to fail - ha aggiunto - ci si ritroverà con un insieme moribondo d'istituzioni obsolescenti e una grave emorraggia sulle risorse finanziarie della società».
Greenspan, dopo 22 anni, è arrivato sulle posizioni di Paul Volcker. Nel 1987, infatti, Volcker fu sostituito con Greenspan alla Fed perché tiepido sulla deregulation, che Greenspan invece appoggiava in toto. Volcker sostiene da sempre, e in particolare da giugno e lo ha espresso in modo compiuto in una deposizione al Congresso del 24 settembre, due punti precisi. Le banche too big to fail sono troppo grandi da salvare e non possono esistere, falsano il mercato perché hanno la garanzia preventiva e implicita, se non esplicita dello stato e rischiano di farlo tracollare. E la banca commerciale, con i depositi garantiti dalla stato, deve essere separata da quella d'investimento, che rischia con operazioni di mercato. Su entrambi i punti Volcker (e ora Greenspan, per incredibile che possa sembrare) hanno ricevuto tre giorni fa il pieno appoggio di Mervyn King della Banca d'Inghilterra. Anche se sul secondo punto, la separazione tra attività bancarie che negli Stati Uniti equivarrebbe a un ritorno (parziale) allo Glass-Steagall Act del 1933, abolito del tutto nel 1999, esistono dubbi. Da molto tempo infatti, in Europa questa separazione spesso non esiste, anche se in un diverso regime di controlli rispetto a quello americano che, a partire dagli anni 90, era diventato incredibilmente indulgente.
La Casa Bianca e il Tesoro hanno idee diverse e ancora mercoledì 21 ottobre Geithner lo ha ribadito alla Camera, dicendo che alcune istituzioni that matter, che contano (ma non ci sarà nessuna lista, ha aggiunto), dovranno sottostare a regole speciali. Perché di fatto, tutti lo sanno, avranno la garanzia pubblica. È quanto Volcker e ora Greenspan ritengono pericoloso.
Greenspan è un passato senza prestigio. Volcker, vicino a Obama nella campagna elettorale, ha prestigio da vendere ma conta poco a Washington. Si farà quindi come chiede Wall Street, che non vuole spezzettare nulla e controlla con le sue elargizioni ampi settori del Congresso. They own the place, come ha detto il senatore Dick Durbin. Quale chance per le tesi di Volcker, Greenspan e King? «Difficile vedere come, dato che i consiglieri-chiave del presidente sono creature di Wall Street - dice Barry Ritholz, l'autore di uno dei migliori libri sul 2008-2009 finanziario, Bailout Nation -. Quando lo si scriverà, il post-mortem sull'attuale amministrazione rifletterà molto probabilmente il fatto che il presidente si è fatto consigliare dalle persone sbagliate, Timothy Geithner e Lawrence Summers».

  CONTINUA ...»

23 Ottobre 2009
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