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È indubbiamente una politica indifendibile. Anche il primo ministro forse è d'accordo. A Dalian, Wen ha osservato che «dobbiamo concentrarci sulla ristrutturazione dell'economia e compiere sforzi maggiori per potenziare il ruolo della domanda interna, in particolare i consumi finali, come stimolatore della crescita». Una rivalutazione del tasso di cambio reale, idealmente attraverso un incremento del tasso di cambio nominale, aiuterebbe. Una distorsione non da poco del sistema attuale è la necessità di tenere bassi i tassi d'interesse per limitare i flussi di capitale in entrata, spostando grandi quantità di reddito dalle famiglie ai profitti delle imprese.
Non è ancora chiaro, ahimé, se i partner della Cina solleveranno la questione del tasso di cambio al vertice del G-20 di Pittsburgh. I cinesi probabilmente sono abbastanza potenti da impedirlo. Ma il presidente Hu Jintao sicuramente si lamenterà del protezionismo americano. Io simpatizzo con lui. Ma simpatizzerei di più se gli interventi valutari di Pechino, abbinati alla sterilizzazione dei loro naturali effetti monetari, non rappresentassero un imponente sussidio alle esportazioni.
Il punto essenziale per la Cina è che, piaccia o non piaccia (e anche al più distratto dei visitatori è perfettamente chiaro che a molti cinesi non piace), la crescita esplosiva del surplus commerciale e del surplus delle partite correnti di metà anni duemila è un evento irripetibile.
Il ribilanciamento a breve termine di quest'anno, mediante una colossale espansione del credito e un'impennata degli investimenti in beni capitali, è un espediente temporaneo. Deve portare a un ribilanciamento dell'economia cinese in direzione dei consumi. È nell'interesse di Pechino. Ed è anche nell'interesse di un'economia mondiale più equilibrata. Se la risposta efficace di quest'anno porterà a questo, allora la crisi avrà prodotto un grosso beneficio sul lungo periodo.
«Una crisi – come amano dire a Washington di questi tempi – è una cosa terribile da sprecare». Forse è un po' rozzo. Ma è vero, e non solo per gli Stati Uniti.
(Traduzione di Fabio Galimberti)