È singolare come Umberto Bossi sappia rivelarsi sincero, il che per un politico è spesso più un difetto che una virtù. Ma il capo della Lega sa essere diretto come nessun altro quando è in gioco il rapporto con il suo mondo, il suo elettorato. Perciò vale la pena leggere con attenzione l'intervista alla Padania di ieri. È il vero manifesto politico del centrodestra, annunciato dall'autentico vincitore, se così si può dire, di questa fase convulsa.
Perché Berlusconi può aver dimostrato ai telespettatori che è ancora lui il capo incontrastato del Pdl, come tale in grado di sgominare il ribelle Fini. Ma la verità è che il partito di maggioranza relativa si ritrova adesso con un'immagine incrinata. In direzione non si è discusso, si è litigato ferocemente: e pochi hanno capito su cosa. Il grande progetto del Pdl risulta quanto meno offuscato. Persino Berlusconi avrà bisogno di un po' di tempo per risalire la china nei sondaggi. Per cui la Lega può a buon diritto considerarsi la beneficiaria del putiferio nel partito alleato.
S'intende che a questo punto la legislatura è come una nave inclinata su un fianco. Non è ancora affondata, ma si avvia a esserlo. Per rasserenare il clima il presidente del Consiglio usa senza risparmio la retorica delle riforme da fare al più presto, addirittura «condivise» con l'opposizione. Ma tutti sanno che l'agenda delle cose possibili è ormai ridotta a poca cosa. E non solo per responsabilità (presunta) del gruppo dei dissidenti finiani e del loro «filibustering parlamentare», come dice Franco Frattini in anticipo sugli eventi.
La vera ragione è che sulle riforme non c'è mai stata chiarezza. Tanto è vero che il primo a non credere al «presidenzialismo» nelle varie versioni proposte è proprio Berlusconi. In fondo, per quanto sia paradossale, l'unico punto fermo del premier (e di Bossi) è una non-riforma: ossia l'assoluta intangibilità della legge elettorale attuale. Non a caso uno dei punti di maggiore dissenso proprio con Fini.
Per il resto, c'è il tema della giustizia, cui è annesso di fatto il disegno di legge sulle intercettazioni. È una bandiera importante per Berlusconi, ma anche un eccellente pretesto per consumare prima o poi un'eventuale rottura in Parlamento con il gruppo di Fini. Un «casus belli» che potrebbe portare alla chiusura anticipata della legislatura. E in fondo le elezioni anticipate appaiono sempre più come l'esito plausibile di una stagione in cui le riforme sono invocate e propagandate, ma restano virtuali.
Qui torniamo all'intervista di Bossi. E al punto cruciale del federalismo, cavallo di battaglia leghista. Il leader usa parole definitive: «Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita per ciò che non siamo riusciti a fare». E ancora: «Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione...». È un'intervista amara, in cui si capisce che Bossi è deluso e infastidito anche dal modo in cui Berlusconi ha gestito il caso Fini. Al punto da dare per morto il governo («ha subito un crollo verticale») e in crisi persino l'alleanza tra Pdl e Lega.
In sostanza si tratta di un addio alla legislatura e dell'annuncio che ci si prepara alla battaglia elettorale, anche se è presto per dire quando. Di sicuro su Fini e sulle sinistre si riversa ogni responsabilità. Ma è anche la conferma che non ci sarà più una delega in bianco a Berlusconi su nessuna questione.