Il Sole 24 Ore
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24 dicembre 2009

IDEE / In viaggio con i Magi alla ricerca della verità

di Bruno Forte

Fra i racconti evangelici che riguardano la nascita di Gesù, ce n'è uno che amo considerare la metafora della ricerca umana di Dio: il viaggio, l'arrivo e la nuova partenza dei Magi. Venuti da lontano, questi uomini si sono fatti pellegrini nella notte, guidati da una stella, per andare alla ricerca di Colui che dà senso e gioia alla vita. Giunti alla Sua presenza - la tenerissima presenza di un Bambino - hanno fatto l'unica cosa degna dell'incontro con la Verità: lo hanno adorato.
I Magi rappresentano così tutti coloro che sono pronti a vivere l'esistenza come esodo, in cammino verso la luce che viene dall'alto: non solo chi crede e credendo ama l'invisibile Amato, ma anche chi cerca non avendo il dono della fede. Il cosiddetto ateo, quando lo è non per semplice qualificazione esteriore, ma per le sofferenze di una vita che lotta con Dio senza riuscire a credere in Lui, vive in una condizione di ricerca, di viva e spesso dolorosa attesa.

Lo mostra il celebre aforisma 125 della Gaia Scienza, dove Nietzsche racconta del folle uomo che nella chiara luce del mattino va sulla piazza del mercato, tenendo in mano una lucerna accesa e gridando: «Cerco Dio, cerco Dio!». A chi si prende gioco di lui, il folle rivolge le parole che hanno segnato il destino di un'epoca: «Dio è morto... e noi lo abbiamo ucciso!». Ma subito aggiunge: «Saremo noi degni della grandezza di questa azione?». E denuncia la verità del dolore infinito di non credere, il senso di una notte che è sempre più notte, di un freddo sempre maggiore, percezione di un'infinita orfananza.

Il non credente pensoso, come il credente non negligente, è qualcuno che lotta con Dio: proprio così alla ricerca della verità, pellegrino nella notte, attratto e inquietato da una misteriosa stella. L'essere umano, allora, non è solo «gettato verso la morte» (Martin Heidegger), ma chiamato alla vita, un «mendicante del cielo» (Jacques Maritain), cercatore di un senso, che dia dignità e bellezza al vivere e al morire.
La grande tentazione è quella di sentirsi arrivati, non più esuli in questo mondo, possessori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. «L'esilio d'Israele - afferma un detto rabbinico - cominciò il giorno in cui Israele non soffrì più del fatto di essere in esilio». L'esilio è di chi ha dimenticato la meta e si è «accasato» nella mediocrità del frattempo.

I Magi, però, non dicono solo l'uomo alla ricerca di Dio: la stella che li guida e il Bambino cui essa li conduce ci fanno capire come Dio non di meno sia alla ricerca dell'uomo. Il Dio del Natale è il Dio che viene: il Dio con noi, l'eterno Emmanuele. Dio viene nelle nostre parole, nella nostra carne: rivelandosi, non solo si dice, ma anche si tace. Maestro del desiderio, Dio è colui che dandosi si nasconde allo sguardo e, rapendoci il cuore, si offre sempre nuovo e lontano: il Dio rivelato e nascosto!
Perciò, la rivelazione non è ideologia, ma parola che schiude i sentieri abissali del Silenzio. Quest'intuizione è presente fin dalle origini della fede cristiana, che parla di Cristo come del Verbo «procedente dal Silenzio» (Sant'Ignazio di Antiochia). Essa permane specialmente nella testimonianza dei mistici. San Giovanni della Croce in una delle sue Sentenze d'amore dice: «Il Padre pronunciò la Parola in un eterno silenzio, ed è in silenzio che essa deve essere ascoltata dagli uomini». La Parola sta fra due silenzi, il Silenzio dell'origine e il Silenzio del destino, il Padre e lo Spirito Santo. Tra questi due Silenzi - gli «altissima silentia Dei» - è la dimora del Verbo.

Accoglieremo il Dio della Parola, se in questa Parola troveremo l'accesso agli abissi del Silenzio, e se, camminando in essa e attraverso di essa sui sentieri del Silenzio, lasceremo che questa Parola ci abiti, si ripeta in noi, si dica nel silenzio eloquente dei nostri gesti di fede e d'amore, affinché diventiamo noi stessi il riposo della Parola, dove essa si lascia custodire e dire, come nel grembo verginale della Donna che ha detto "sì" al mistero dell'avvento.
Pellegrini nella notte, guidati dalla stella, i Magi hanno riconosciuto nel Bambino il dono della verità, la luce che salva. Lo hanno adorato: in questa adorazione il cercatore è stato raggiunto dal Dio che ha tempo per l'uomo. Quest'incontro è la fede: lotta, agonia, non riposo di un possesso tranquillo. Come per Giacobbe al guado dello Yabbok, il Dio di chi crede è l'assalitore notturno, l'Altro che viene a te. Se non è fuoco divorante, non è il Dio vivente, ma il «Deus mortuus», «otiosus».

Perciò Pascal affermava che Cristo sarà in agonia fino alla fine del tempo: quest'agonia è la lotta di credere, di sperare e di amare, la lotta del discepolo con Dio! L'aver conosciuto il Signore non esimerà nessuno dal cercare sempre più la luce del Suo Volto, accenderà anzi sempre più la sete dell'attesa. Il credente è un cercatore di Dio, sulle cui labbra risuonerà la struggente invocazione del Salmista: «Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto».

Che cos'è peraltro la fede, se non il lasciarsi far prigionieri dell'invisibile? Nella recente Lettera ai cercatori di Dio, i vescovi italiani ce l'hanno ricordato: chi crede non è mai arrivato, vive da pellegrino in una sorta di conoscenza notturna, carica d'attesa, confortata dalla luce venuta nelle tenebre e tuttavia in una continua ricerca, assetata d'aurora. Anche così la fede è resa e abbandono, approdo di bellezza e di pace: la bellezza dell'Uomo dei dolori, dell'amore crocifisso, della vita donata.

L'adorazione dei Magi non è, allora, assenza di scandalo, ma presenza di un più forte amore: la fede non è risposta tranquilla alle nostre domande, ma sovversione, ricerca del Volto amato, consegna al Dio rivelato e nascosto. Perciò, il credente non è che un povero ateo, che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, e la luce nel Natale è aurora solo per chi sa aprirsi all'oltre divino nello stupore e nell'adorazione.

Cercare, lasciarsi guidare dalla stella, adorare il Bambino: dai Magi viene il no a una fede indolente, statica e abitudinaria, come il no a una non credenza tranquilla, incapace di aprirsi alla sfida del Mistero, attestata nella presunzione del "come se Dio non ci fosse", e non disposta a rischiare come se invece ci fosse. Il sì del Natale dei Magi lo ha espresso Kierkegaard con queste parole: «Nessuno può scegliere per te oppure in senso ultimo e decisivo può consigliarti riguardo all'unica cosa importante, l'affare della tua salvezza... Soli! Poiché quando hai scelto, troverai certamente dei compagni di viaggio, ma nel momento decisivo e ogni volta che c'è pericolo di vita, sarai solo» (Vangelo delle sofferenze). Quella scelta, quell'ora, è Natale per te.
Bruno Forte è arcivescovo di Chieti-Vasto

24 dicembre 2009

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