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L'ECONOMIA E LE IDEE / Dalla scuola di tutti alla scuola per ciascuno

di Gianfranco Fabi

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24 dicembre 2009

Che in Italia ci sia una crisi del sistema educativo non è dimostrato solo dai disarmanti risultati delle indagini internazionali, ma anche dalle crescenti difficoltà dei giovani a inserirsi nel mondo del lavoro e dalla cronica carenza del sistema-paese sul fronte della ricerca e dell'innovazione. Di riforme, e spesso anche di controriforme, della scuola se ne sono fatte molte negli ultimi decenni, ma nessuna è stata in grado d'invertire la pericolosa tendenza allo scollamento tra mondo dell'istruzione e società.
La tesi di Giovanni Cominelli (La scuola è finita... forse) è altrettanto chiara, quanto rivoluzionaria: non è più il momento degli aggiustamenti progressivi, perché per salvare la scuola è necessario «destrutturarla», cioè passare dallo statalismo schematico e garantista a percorsi formativi personalizzati, rimettendo al centro i ragazzi, i genitori, gli insegnanti.
Un obiettivo sicuramente temerario, anche perché in netta controtendenza rispetto all'evoluzione degli ultimi decenni e soprattutto rispetto a quel pensiero unico politicamente corretto che vede nella scuola pubblica un baluardo astratto di un sistema formalmente ugualitario, un sistema che tuttavia vede progressivamente abbassarsi il proprio livello qualitativo.

A partire dalla scuola media unica introdotta nel 1962, vi è stato un progressivo abbandono di quella selezione meritocratica che aveva costituito uno dei punti di forza della grande riforma di Giovanni Gentile. E anzi, quello che prima era un elemento di selezione, come l'esame di stato, costituisce ora un alibi a una scuola di scarsa qualità: «Il valore legale del titolo di studio - spiega Cominelli - copre malamente il fallimento del sistema di valutazione, inquina profondamente il mercato della formazione, consente l'esistenza e lo sviluppo di scuole e università di bassa qualità, altera i meccanismi d'accesso all'impiego pubblico e alle professioni».

L'educazione data in appalto allo stato ha inoltre costituito un elemento che ha reso le famiglie sempre meno interessate e quindi sempre meno responsabili dell'educazione dei figli.
Un classico del liberalismo, Ludwig von Mises, si era espresso senza dubbi: «La scuola non potrà mai funzionare ed essere veramente libera finché resterà in piedi come istituzione pubblica e obbligatoria. Bisogna fare in modo che lo stato, il governo, le leggi non si occupino della scuola e dell'istruzione; che il denaro pubblico non sia speso per questo; che l'educazione e l'istruzione siano affidate interamente ai genitori e alle associazioni e agli istituti privati». Un ribaltamento di prospettiva rispetto a una realtà come quella italiana, in cui ogni volta che si accenna alla possibilità di dare maggiori spazi alla scuola privata si alzano le proteste dei custodi formali della laicità e della Costituzione.

Ma guardando in avanti, anche il possibile e utile confronto tra scuola privata e scuola pubblica rischia di essere superato dai fatti. Perché le radici della crisi stanno nella rigidità di uno stesso modello educativo, che sembra avere il perverso obiettivo d'ingabbiare gli spiriti più dinamici della società.

24 dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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