Ivan Lo Bello ha recentemente posto sul Sole 24 Ore una questione importante: c'è il rischio nel Mezzogiorno che lo statalismo di ritorno saldandosi con il vecchio e deteriore meridionalismo possa creare nuovi e irrimediabili guasti.
Le politiche per il Sud dovrebbero tener conto della storica ipertrofia della dimensione pubblica nella società e nell'economia. La società civile meridionale si ritrova schiacciata e interamente ripiegata sulla politica e anche una parte dell'economia si trova sotto questa cappa. Ci sono ancora troppi attori nel Mezzogiorno che non guardano al mercato, ma al sistema politico. Il rapporto con la politica diviene perciò malato e da legittima rappresentanza di interessi della società civile, si fa rapporto di scambio individuale che spesso mira a ottenere favori, protezione e rendite.
Al Sud il mercato, inteso come quel meccanismo in grado di allocare al meglio le risorse e i fattori produttivi e capace di generare crescita autonoma, è messo nell'angolo. E la concorrenza, che è la strada attraverso cui è possibile tendere alla selezione, è quotidianamente mortificata. Occorre dunque liberarsi dal giogo.
C'è un aspetto fondamentale che lega il ricatto della politica e quello della criminalità, sia esso perpetrato ai danni del cittadino o dell'imprenditore: in entrambi i casi si offre protezione in cambio di qualcosa d'altro. Protezione per un cittadino può significare un posto di lavoro, un reddito facile, una garanzia. Per un imprenditore il buon esito di un appalto, la sicurezza sulle proprie attività, una fornitura importante. Un meccanismo che da una parte viene perseguito con diabolica scientificità da parte dei "protettori", ma dall'altro vede i "protetti" che faticano a ribellarsi al giogo in cui si trasforma il dono avvelenato della protezione, anzi sono spesso loro stessi a invocarlo.
In tutti questi casi oltre a falsare il libero gioco del mercato si finisce per innescare un meccanismo perverso di dipendenza, dove il dono avvelenato finisce per richiedere in cambio un prezzo troppo alto: cedendo ai ricatti della criminalità e a quelli di una parte del potere politico, non si fa altro che rinunciare alla propria libertà. E soprattutto si rinuncia alla competizione e all'innovazione, le sole forze che possono assicurare crescita e sviluppo.
Per tutte queste ragioni urge un nuovo meridionalismo e politiche per il Mezzogiorno più consapevoli degli errori del passato. Tutti i grandi meridionalisti hanno commesso l'errore di ritenere che per risolvere i problemi del Sud occorresse più stato, maggiore interventismo. Le politiche messe in atto sono fatalmente risultate politiche stataliste e assistenzialiste. Qualcuno, per la verità, e tra questi Antonio De Viti De Marco e Luigi Sturzo, aveva provato a mostrare un'idea diversa indicando (Sturzo) nelle «tre male bestie: statalismo, partitocrazia, abuso del denaro pubblico» il problema del Sud. Ma dopo cinquant'anni di politiche orientate in quel senso e soprattutto dopo risultati sconfortanti, credo possa essere utile provare a ragionare in termini diversi.
Florindo Rubbettino è presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Calabria