«La Banca d'Italia può configurarsi come una sorta di autobiografia della nazione, come riflesso delle sue virtù e dei suoi problemi. Tuttavia, il suo è uno specchio deformante in positivo, poiché essa ha da sempre rappresentato un ambito di eccellenza per dignità, professionalità e senso di responsabilità sia politica sia istituzionale. Si può forse sostenere che costituisce l'eredità più vicina agli ideali e alle esperienze del nostro Risorgimento, come del resto attestato dal profilo culturale e ideologico dei suoi dirigenti. Anche per questo motivo, essa rappresenta uno dei fili conduttori che ci allacciano alla nostra migliore tradizione politica». È un giudizio decisamente positivo, quello con il quale Giampiero Cama, docente di scienze politiche all'università di Genova, chiude il suo saggio dedicato alla Banca centrale (La Banca d'Italia, in libreria da domani).
Tuttavia, e qui sta la novità della chiave di lettura del volume, è un giudizio di chi, per intento dichiarato (o per deformazione professionale, visto che si tratta di uno scienziato della politica) cerca di vedere la politicità dell'istituzione e di considerarne soprattutto, più che l'efficacia economica o il ruolo storico, l'impatto e l'influenza politica nella società. Per questo il volume si apre con una citazione del premio Nobel James Tobin («nulla è più politico della moneta») e, accanto ai capitoli dedicati a descrivere la fisionomia organizzativa della Banca d'Italia e le sue funzioni istituzionali fondamentali (politica monetaria, vigilanza e cura del sistema dei pagamenti) c'è n'è uno dedicato a un compito «non previsto dagli ordinamenti ma molto rilevante: la funzione extraistituzionale e di supplenza» svolta dall'istituto d'emissione.
Cama parte da lontano: da Bonaldo Stringher, che parla esplicitamente di un'azione suppletiva della Banca centrale, all'influenza esercitata da Menichella rispetto alla nascita della Cassa del Mezzogiorno, al ruolo centrale di Guido Carli rispetto all'elaborazione della politica economica. Mette in evidenza gli aspetti positivi di questo passato protagonismo (quando la funzione del banchiere centrale surrogava l'assenza di regole moderne e le carenze della politica); ma mostra anche i rischi di debordare dal solco istituzionale, ricordando le vicende che hanno portato all'uscita di scena del governatore Antonio Fazio.
L'autore ricorda, tra le altre cose, anche un mutamento importante della società italiana, avvenuto in epoca relativamente recente: il rafforzamento dei gruppi sociali avversi all'inflazione, elemento che, spiega, ha senza dubbio rafforzato in modo sostanziale i "bastioni" dell'autonomia della Banca centrale.