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LOTTA AL GLOBAL WARMING / Sul clima modello Wto: ammende per chi sfora

di Jagdish Bhagwati

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24 febbraio 2010

Le dimissioni rassegnate la settimana scorsa da Yvo de Boer, diplomatico olandese, dalle sue funzioni di segretario generale dell'Unfccc, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, riflettono la sua grande delusione per l'esito del vertice di Copenhagen e per i problemi incontrati nella definizione del Trattato sul cambiamento del clima. Infatti il precedente Protocollo di Kyoto - la cui scadenza è imminente - non ha avuto l'esito sperato: quasi tutti i 36 paesi ricchi e industrializzati non hanno rispettato l'impegno che avevano sottoscritto di raggiungere gli obiettivi prefissati di riduzione delle emissioni. Gli Stati Uniti (insieme all'Australia) non hanno neppure ratificato il Protocollo e il Senato americano - con una gesto di sfida bipartisan di 99 voti a 1 - aveva addirittura respinto il Protocollo già sottoscritto da Bill Clinton.

Il fallimento del vertice di Copenhagen dipende dal fatto che per colmare e superare le differenze esistenti tra paesi ricchi e poveri occorreva dar prova di una certa creatività, ed è stato un vero peccato non esserci riusciti. Per dar vita a istituzioni internazionali è assolutamente necessario che i principi ai quali queste devono ispirarsi si basino su una pratica reale, non su idee utopistiche. Dobbiamo dar vita a un nuovo protocollo basandoci sui principi che regolano il funzionamento di istituzioni già collaudate, come la Wto. Come possiamo procedere?

Prima di tutto, mentre il Protocollo di Kyoto ha offuscato la distinzione, è ormai abituale per i negoziatori instaurare una distinzione tra le responsabilità derivanti dagli aspetti "storici" e quelli "correnti" del cambiamento del clima, laddove i primi riguardano gli impegni da sottoscrivere nei confronti delle emissioni di CO2 già esistenti da tempo e i secondi delle emissioni che si stanno rilasciando nell'atmosfera adesso. Sebbene per tali impegni si usi abitualmente l'espressione "legalmente vincolanti", non vi è nessun processo definito al quale si possa ricorrere per far sì che se qualcuno non li rispetta sia tenuto a mantenere quanto promesso.

Con il nuovo Protocollo dobbiamo attingere all'esperienza della Wto: in tale cornice, infatti, qualora non si mantenga uno degli obblighi sottoscritti di apertura commerciale, è possibile contestarne l'operato e avviare un processo di risoluzione delle controversie che si conclude con ammende per chi è giudicato inottemperante. Un Protocollo sul cambiamento del clima nel quale gli impegni sugli aspetti "storici" o "in corso" siano mere dichiarazioni formali che non comportano conseguenza alcuna sarebbe una farsa e porterebbe a un maggiore cinismo, senza azioni concrete.

Secondo, la promessa fatta dai paesi ricchi al summit di Copenhagen di spendere 100 miliardi di dollari per alleviare le conseguenze e contribuire al necessario adattamento locale alle nuove situazioni climatiche può essere considerata una risposta alla questione degli aspetti "storici" dei danni arrecati in passato, mentre di fatto è stato spiegato che tale somma di denaro sarà semplicemente offerta ai paesi più poveri in finanziamenti che potrebbero sostituire gli aiuti umanitari. Indubbiamente ciò riflette considerazioni sbagliate.

Per risolvere i casi d'inquinamento interno, dopo l'incidente del 1996 del Love Canal - in seguito al quale fu intentata una causa per danni contro la Pacific Gas & Electric, condannata per aver versato cromo, altamente tossico, nella falda acquifera - gli Stati Uniti hanno creato un superfondo. In base alla legislazione del superfondo, lo smaltimento e la bonifica dei terreni dai rifiuti tossici devono avvenire a spese dell'azienda responsabile. Questo obbligo è altresì molto "rigido", nel senso che sussiste anche qualora la sostanza dispersa nell'ambiente non fosse all'epoca riconosciuta come pericolosa (come le emissioni di C02 fino a poco tempo fa). Oltretutto, anche i singoli cittadini danneggiati da simili azioni possono intentare causa e richiesta di risarcimento danni.

Disdegnando questa tradizione legale invalsa per i casi d'inquinamento interno negli Usa, Todd Stern - principale negoziatore statunitense - si è rifiutato di assumersi qualsiasi tipo di responsabilità per le emissioni del passato. Una simile posizione stupisce ancor più se si tiene conto che il presidente Obama appartiene a un partito che prospera grazie ai versamenti provenienti dagli avvocati specializzati in illeciti civili.

Indubbiamente, gli Stati Uniti devono cambiare completamente posizione. È necessario che ogni paese ricco accetti di assumersi le responsabilità legate ai propri illeciti civili che possono essere proporzionali alla percentuale di emissioni "storiche" di C02 così come sono state calcolate dall'Onu. Poiché il pagamento si baserebbe sul principio dell'illecito, l'idea che i finanziamenti possano rimpiazzare i normali aiuti umanitari sarebbe oltraggiosa: non si toglie la pensione a chi vince una causa civile e ha diritto a essere indennizzato.

  CONTINUA ...»

24 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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