L'irrompere della corruzione, o se si vuole del malcostume affaristico, come tema prioritario della campagna elettorale, rischia di muovere le acque della politica più di quanto fosse prevedibile. All'interno della maggioranza di governo certe voci a lungo silenti, ma notoriamente critiche nei confronti di Berlusconi, tornano a farsi sentire. È il caso del presidente dell'Antimafia, Pisanu, che ha affidato al «Corriere della Sera» alcune riflessioni di forte impatto. Pisanu parla di un clima che può degenerare fino a «disgregare le basi della convivenza civile e delle istituzioni democratiche». E poi, citando Dossetti e Aldo Moro, auspica che «si torni alla cultura politica della Carta costituzionale».
In poche parole, è un richiamo mai così esplicito alla collaborazione democratica tipica dei momenti d'emergenza. Se il quadro dipinto da Pisanu fosse realistico, il sistema politico avrebbe solo una strada: stringersi in un nuovo patto di unità nazionale. Si dirà che l'ex ministro dell'Interno è un isolato, da tempo ai margini del Popolo della Libertà. Ma non è proprio così. Pisanu può essere definito un «notabile», ossia un politico di lunga esperienza la cui parola non è inflazionata e proprio per questo conta nei passaggi critici. Quel che è certo, la sua analisi descrive un'Italia opposta a quella tratteggiata dall'ottimismo di Berlusconi. E a ben vedere, le «riforme condivise» di nuovo invocate dal presidente della Camera sono figlie di un'analoga preoccupazione. Proprio perchè le riforme sono urgenti, dice Fini, vanno fatte con un'intesa tra maggioranza e opposizione.
Non è una proposta nuova. Tuttavia lo è la cornice in cui viene avanzata. Le cronache rovesciano nelle redazioni dei giornali notizie di collusioni inquietanti fra politica, mondo economico e malavita organizzata. Il caso Di Girolamo è clamoroso, anche perchè viene dopo settimane di malessere e di interrogativi senza risposta sui guasti della «zona grigia» in cui sembra prosperare il malaffare.
È chiaro che lo scenario sta cambiando in fretta. In attesa dei provvedimenti anti-corruzione annunciati dal premier, ma lungi dall'essere definiti, si avverte tutta la difficoltà in cui è costretto ad agire Berlusconi. Questa volta il richiamo carismatico alle virtù del capo potrebbe essere insufficiente. Manca un mese alle elezioni e nessuno sa quali altre notizie scomode potranno arrivare dalle inchieste giudiziarie. Sappiamo invece che si è ormai chiusa la finestra di opportunità per cambiare la legge sulle intercettazioni: a meno di non voler mettere in piazza tutte le fratture interne della maggioranza. E non è più tempo nemmeno di alimentare l'eterna guerra contro la magistratura. Sia perchè quest'ultima è passata alla controffensiva, sia perchè il centrodestra non è più unito, ammesso che in passato lo fosse.
Quando Fini sconfessa il premier e afferma che «i magistrati non si devono vergognare», si limita a dire con parole moderate quello che altri gridano. La Lega, l'alleato di ferro di Berlusconi, ha rispolverato il repertorio contro i corrotti e gli inquisiti che vanno esclusi dalle liste elettorali. E non è un caso se un nome di primo piano come Castelli, candidato a Lecco, dice: «E' il momento di fare pulizia, impensabile intraprendere adesso azioni che possono sembrare contro la magistratura». La Lega si prepara a raccogliere voti, forse tanti, sulla linea dura. Per Berlusconi un problema in più.