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Le riforme e il virus corruzione

di Andrea Romano

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24 febbraio 2010
Le riforme e il virus corruzione

Siamo davvero alla vigilia di una nuova Tangentopoli? Mai come in queste ore la domanda torna a farsi pressante, mentre leggiamo di ipotesi investigative su reti collusive tra politica, grandi società e criminalità organizzata. Ma proprio in queste stesse ore dovremmo anche chiederci perché ci attendiamo un nuovo cataclisma che potrebbe spazzare via un'intera classe dirigente, come accadde nei primi anni Novanta. E forse la risposta sarà da trovare nelle vere ragioni del discredito della politica, oltre che nella capacità italiana di auspicare la distruzione di leadership più facilmente di quanto non sia in grado di produrne di nuove.
Senza rifugiarsi nella lunga durata dei fenomeni storici (e la debolezza delle nostre leadership è certamente un fenomeno di lunga durata) oggi il problema sembra riguardare la politica assai più che altri settori della nostra vita pubblica. Perché è guardando alle classi dirigenti della politica che ci attendiamo spesso un diluvio purificatore. Tanto spesso da avere dimenticato tutte le volte in cui, solo nell'ultimo decennio, ci siamo ritrovati davanti agli stessi interrogativi.
Poco più di due anni fa fu il caso dell'ondata innescata dalla scoperta della «Casta»: anche allora in molti si domandarono se la politica avrebbe retto il colpo, se la marea dell'indignazione avrebbe travolto tutto e tutti. Non accadde nulla dopo il bestseller di Stella e Rizzo, anzi siamo punto e accapo: da una parte, più o imeno, gli stessi attori della politica; dall'altra, più o meno, la stessa vasta platea in attesa della grande operazione di pulizia, pungolata da populisti ignari del caos che possono innescare.

Si sa che l'antipolitica e il populismo non sono fenomeno solo italiano, ma che ha radici in tutto il mondo occidentale, anche per la crisi della rappresentanza democratica e per l'indebolirsi degli strumenti di governance che un tempo erano riservati alla sovranità nazionale. Anche il presidente Barack Obama ne sa qualcosa, con la Casa Bianca fronteggiata dalla rivolta del «tea party».

Eppure c'è qualcosa di particolarmente italiano (e di particolarmente fondato) in questa coazione a ripetere la stessa sfiducia di massa nei confronti della politica. Qualcosa che ha ampia ragion d'essere, che non ha niente a che fare né con il qualunquismo né con lo scarso senso dello Stato da cui sarebbero afflitti gli italiani.

Almeno per una volta proviamo a immaginare che il primo sospettato sia davvero colpevole e che la politica italiana di quest'ultimo decennio meriti ampiamente il discredito da cui è circondata. Proviamo allora a immaginare che quel discredito nasca, molto semplicemente, dalla percezione che gli italiani non possono non avere di due mali che hanno concretamente afflitto la nostra vita politica: la mancanza di concorrenza e la scarsa assunzione di responsabilità personale.

La mancanza di concorrenza è quella che ha visto formarsi un vero e proprio cartello tra personale politico e forze organizzate tra cui sembra valere un patto di mutua sopravvivenza. L'economia è da anni aperta al mercato globale, e con il mondo le nostre aziende devono confrontarsi e rivaleggiare. Con il risultato di innovarsi, crescere, stare al passo con il XXI secolo. Non così la politica, che è riuscita a proteggersi con un ferreo sistema di dazi che esclude ogni novità.

Se la fotografia nella quale la politica italiana è congelata è la stessa della fine degli anni Novanta, con protagonisti di cui ormai conosciamo la perfetta capacità di risalita, il motore più potente di discredito è tuttavia nella scarsa attitudine all'assunzione di responsabilità personale che segna molti dei suoi protagonisti.

Anche in questo caso un confronto con i meccanismi di verifica e sanzione che sorvegliano ogni altra classe dirigente, non può mettere in buona luce le leadership politiche anche dinanzi alla più smaliziata delle opinioni pubbliche.
Con buona pace di chi ancora si stupisce che si torni a parlare tanto facilmente di crollo della fiducia nei partiti. E salvo attendere con preoccupazione la nuova raffica di avvisi di garanzia: non può essere questa la strada da percorrere.

24 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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