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Lezioni americane: partiti liberi con soldi privati

di Alessandro De Nicola

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24 gennaio 2010

Un giorno, ascoltando la radio, potremo sentire uno slogan come questo: «Per la tutela della famiglia e dei nostri bambini vota Partito della Tradizione!». E poi: «Con il contributo di Pannolini Bimbus, per un bebè sempre asciutto». Oppure: «Nuove case per tutti: è la nostra promessa per voi. Vota Partito dello Sviluppo». Seguito da: «Il Partito dello Sviluppo è patrocinato da Solidus, il cementificio amico del progresso».

Il tema del finanziamento ai partiti in questo periodo sta tenendo banco negli Stati Uniti, il mercato politico più caro del mondo.
È di questa settimana la notizia della sentenza della Corte Suprema che ha abolito i limiti ai contributi elettorali da parte delle aziende. Come riportato sul Sole 24 Ore del 22 gennaio, con una decisione votata a stretta maggioranza (5 a 4) il supremo organo ha stabilito che alcuni articoli della legge McCain-Feingold del 2002 e del Tillman Act del 1907, che vietavano il finanziamento diretto alle campagne elettorali da parte di imprese ed altri enti, tra cui i sindacati, sono incostituzionali. Il Primo Emendamento tutela la libertà d'espressione e non può essere sottoposto a restrizioni, ha argomentato la maggioranza: nel momento in cui lo stato ne pone di qualsiasi tipo esercita l'equivalente di una censura.

La legge americana era piuttosto contorta: le società a scopo di lucro che possedevano mass media potevano fare tutta la propaganda che volevano, mentre piccoli comitati con responsabilità limitata, tipo Citizens' Union che ha dato il suo nome al caso esaminato, dovevano astenersi. Non a caso, nonostante le dure critiche di Obama, ormai imprigionato dal suo nuovo look populista, le opinioni sulle restrizioni attraversavano le barriere ideologiche. I sindacati, la Camera di commercio Usa e l'American Civil Liberties Union (nota associazione radicale e libertaria) erano a favore dell'abolizione alle restrizioni, il senatore McCain e i Democratici erano contrari.

Il punto sul quale sono tutti d'accordo, peraltro, è la trasparenza. I sussidi sono leciti, ma bisogna sapere da dove arrivano. Peraltro, in America (e in tutto il mondo) politici corrotti ed erogazioni segrete ce ne sono, ma per chi viene beccato con le mani nel sacco (o i soldi nel frigorifero, come il deputato della Lousiana Jefferson) le punizioni sono draconiane.
Tuttavia, pur in un contesto in cui la lotta politica è molto competitiva e costosa e le leggi cambiano periodicamente, gli Stati Uniti (come del resto tanti paesi europei) non hanno mai conosciuto un fenomeno quale Tangentopoli. E questo dovrebbe farci riflettere sul dibattito in corso in Italia: l'enorme livello di corruzione raggiunto nel nostro paese non fu una necessità storica determinata dal fatto che la politica "costa" e qualcuno deve pur pagarla. Fu la scelta precisa d'individui (i veri artefici della storia) che operarono in modo tale da creare quell'intreccio orrendo di costi gonfiati, arricchimenti personali, finanziamenti illeciti, deficit pubblico.

Né il denaro dell'Urss al Pci è una buona scusante. Innanzitutto, negli altri partiti c'era chi si comportò meno peggio e in secondo luogo il periodo più indecente della corruzione si raggiunse tra la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90, quando l'Urss era in bolletta o dissolta. Ricordiamocelo, soprattutto quando sentiamo gli entusiasti bardi dell'intervento pubblico in ogni settore dell'economia e della vita civile: il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente.

24 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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