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di Carlo De Benedetti

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24 gennaio 2010

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Al di là di Google, c'è ancora molto da riflettere sui sistemi di pagamento. Il New York Times punta su un sistema che è un'evoluzione di quello del Financial Times: "a tassametro", è stato definito, in quanto ti farebbe pagare solo i contenuti che hai consumato nel corso del mese. Par di capire che Murdoch stia imboccando una strada diversa. Difficile dire quale sarà il vincente. È un po' come nel mondo, ancora in evoluzione, della carta elettronica, che ora vede prevalere il Kindle di Amazon ma che attende spaventato (o speranzoso: dipende) l'arrivo, annunciato per il 27 gennaio, del tablet iSlate di Apple: finirà come con l'iPhone, che ha sconvolto le logiche del mercato dei cellulari e degli smart phone?
In ogni caso, il modello di micropagamenti annunciato dal NYT funzionerà solo se abbinato a qualcosa di molto semplice, come appunto iTunes di Apple. Difficile immaginare che gli utenti facciano acquisti su una piattaforma diversa per ciascun editore, con l'obbligo di dare ogni volta username, password e dati della carta di credito. Interessante ma tutta da verificare è l'ipotesi operativa di Journalism Online, la start up di Steven Brill e Gordon Crovitz, che vorrebbe associare migliaia di giornali online. Vedremo.

Da parte degli editori sarà necessario un approccio graduale, che veda mettere a pagamento contenuti oggi non disponibili gratuitamente online ma già pronti all'uso e altri realizzati ad hoc, possibilmente esclusivi e di nicchia. Può essere l'occasione per consolidare, in Italia, un approccio di sistema da parte degli editori. L'esperienza del consorzio Premium Publisher Network per la pubblicità a performance, che vede il Gruppo Espresso collaborare con Corriere della sera, Gazzetta dello Sport, Stampa, Ansa e tanti altri, è tra le più studiate in Europa. Gli editori devono superare le antiche rivalità e lavorare insieme, fare appunto sistema. Solo così si contrastano i competitor globali.

Collaborazione tra editori, dunque, sistemi di pagamento agili, intese commerciali con motori di ricerca e aggregatori, difesa del copyright: eccoli i tasselli per la valorizzazione dei propri contenuti digitali. È un mix di azioni indispensabile. Ma c'è un ultimo punto che voglio sottolineare, non meno importante dei precedenti: bisogna far sì che gli operatori di rete, le telecom, accettino di condividere con noi una quota dei loro ricavi dovuti all'accesso.
Ne ho già scritto sul Sole a fine settembre. Sono quasi 13 milioni le Adsl attive in Italia, mentre gli smart phone realmente naviganti sono intorno agli 8 milioni. Il tasso di crescita di attivazione delle utenze a banda larga nel prossimo quinquennio può essere stimato, pur scontando una tendenziale flessione, in circa il 10% annuo. Ancora più alto il tasso di crescita della diffusione degli smart phone usati anche per andare sulla Rete. Le telecom hanno sfruttato e sfruttano - esattamente come i motori di ricerca - il traffico creato dai contenuti dall'informazione di qualità. Paradossalmente, più sono i contenuti free, più crescono i guadagni degli operatori, meno crescono quelli degli editori che li hanno prodotti: i contenuti attraggono utenza, ma i ricavi vanno tutti agli oligopolisti dell'intermediazione. È ora di cambiare registro

24 gennaio 2010
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