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Quei «fattoidi» merce di scambio ad alto rischio

di Guido Gentili

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24 novembre 2009

Conosciamo l'economia "in nero", sommersa, valutata intorno al 25-30% del Prodotto interno lordo. Non sappiamo nulla, o quasi, del meccanismo che alimenta i circuiti dell'economia dei "fattoidi" mischiata a quella dei ricatti, visibili e meno visibili. E che insieme al dilagare del traffico e del consumo di cocaina attraversa l'intera società italiana, comprese le sue classi dirigenti, facendo scattare un codice di selezione al contrario che condiziona il sistema (si veda questa rubrica sul Sole 24 Ore del 10 novembre).

Un magistrato esperto del ramo e che ha preferito però restare nell'anonimato ha usato parole durissime: «Ormai essere ricattabile è una condizione per arrivare in cima, il manager o il politico ricattabile offre garanzie, il ricatto seleziona la classe dirigente» (la dichiarazione è sul Corriere della Sera di ieri).

Si tratta di un'affermazione estrema: se fossimo arrivati davvero a questo punto saremmo alla fine, senza alcuna possibilità di recupero. Le cose non stanno così. Ma questo non significa che non si debba fare un po' di luce su un fenomeno che pure inizia a emergere e di cui gli studi sul rinnovo della classe dirigente, prima o poi, dovranno in qualche modo tenere conto.
Per ora, diciamo così, siamo fermi, ai "classici". La meritocrazia è bloccata, i comportamenti collusivi e di cooptazione sono all'ordine del giorno. È scesa negli anni (come documentato dalle indagini di Carlo Carboni) la componente relativa al mondo dell'economia (imprenditori, banchieri, manager) ed è cresciuto il peso della componente politica, culturale e delle professioni (amministratori nazionali e locali, professori universitari, avvocati, giornalisti, artisti, medici, eccetera).

L'economia dei "fattoidi" (fatto incompleto o deviato secondo il grande critico d'arte Gillo Dorfles, che scrisse il libro Fatti e fattoidi già negli anni 90, ora riproposto da Castelvecchi) sommata a quella dei ricatti, industria sempre fiorente, è un terreno scivoloso. Che per di più manca di qualsivoglia appoggio statistico che ne consenta la perimetrazione.
Ma qualcosa via via affiora dal pozzo nero degli scandali, in parallelo con l'affermarsi di tecnologie sempre più raffinate, comode e accessibili. E affiora, non sembra un caso, dalla componente politico-culturale-professionale.

È un nuovo, grande mercato, dove acquirenti e venditori, spesso anche invertendo o confondendo ad arte i ruoli, s'incontrano e si scambiano informazioni sensibili, favori, promesse d'intervento che entrano ed escono da casseforti verbali e d'acciaio. Può essere il testo di un'intercettazione telefonica. Può essere un verbale d'interrogatorio o uno scatto fotografico. Può essere un filmato di pochi secondi. Oppure la singola scheggia di ciascuna di queste "prove", oppure un dossier di carta. Un fatto o un "fattoide" verosimile o magari un "si dice" plausibile che di bocca in bocca diventa realtà senza esserlo.

In ogni caso si tratta di roba ad alta sensibilità di scambio (con un suo valore economico o di carriera, per un piccolo o grande salto) in tutti i circuiti decisionali che contano. E se anche un solo spezzone di classe dirigente si forma o passa da questo particolare mercato, tanto autoreferente quanto violento al suo interno, un problema serio c'è.
guido.gentili@ilsole24ore.com

24 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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