Non è mai un bene quando i figli hanno prospettive peggiori dei padri. Ma se far ripartire l'ascensore sociale è un obbligo per tutti (in tutti i paesi più avanzati) c'è un palazzo in cui quell'ascensore sembra andare ancora più a rilento: è quello delle professioni, quelle più salde e più antiche. Commercialisti, avvocati, notai, consulenti del lavoro soffrono con tutta la galassia degli albi i morsi della crisi, alla pari dell'economia intera, ma con l'aggravante di una gavetta via via più incerta.
Aver conquistato un ordine non è mai stato, per chi ha meno di quarant'anni, un ingresso immediato al reddito e al prestigio. Di questi tempi, però, il tragitto che porta a recuperare il sacrificio iniziale si sta allungando un po' troppo. I confronti tra generazioni pubblicati sul Sole 24 Ore tra agosto e settembre; le lettere e le e-mail dei giovani professionisti ricevute in quelle settimane; la forbice tra i redditi che si allarga, dati delle casse alla mano; la necessità di impegnarsi in più studi o in più attività, per far quadrare i conti. Tutti segnali che le Camere, impegnandosi ora a ridiscutere la riforma delle professioni, faranno bene a non sottovalutare. E che i vertici delle categorie non devono liquidare come insofferenze adolescenziali.
Chi è giovane d'albo sa che deve misurarsi con possibili erosioni di competenze, con insidie concorrenziali crescenti. Ma può anche confidare che dalla modernizzazione vengano maggiori opportunità e attenzioni, qualche sostegno in più dalle Casse, qualche riguardo dal fisco. Spesso si è scambiato – e si scambia tuttora – questo malessere con le difficoltà di accesso. Ma in realtà il problema è garantire pari opportunità a chi quel titolo se l'è saputo guadagnare. Sperando che, dopo le quote rosa, non si debbano varare le quote verdi.