«La restituzione di questo obelisco - dice Gianluca Peluffo, socio fondatore di 5+1AA con Alfonso Femia - deve essere letto come un atto di grande generosità e di pace se si confronta con l'atteggiamento che hanno sullo stesso tema paesi come Francia, Gran Bretagna, Spagna o Germania. Poi, però, deve avere un seguito, una degna sostituzione di pari forza, per non diventare un semplice bel gesto di uno stato che rinuncia alla sua forza rappresentativa». Per Peluffo l'idea di un memoriale ai caduti di pace proposta dal Sole 24 Ore consente di affrontare finalmente il tema dell'assenza del monumento pubblico nell'Italia repubblicana. Lo studio che ha progettato tra l'altro il nuovo Palacinema di Venezia, lo ha affrontato con l'architetto Annalaura Spalla e l'artista Danilo Trogu.
«La cultura e la politica italiana del dopoguerra - spiega Peluffo - hanno bandito dal vocabolario dell'arte e dell'architettura le parole bellezza, monumentalità pubblica, simbolicità e identificazione. Si è trattato, per questi 60 anni di storia, di buttare via l'acqua sporca del fascismo, sacrificando il senso dello stato». Si è aperto così «un vuoto di democrazia» per uno stato che non sa commemorare né rappresentare se stesso. «Per ragioni diverse, democristiani e comunisti hanno preferito una politica di basso profilo, lasciando a singoli segni privati la rappresentazione del dolore collettivo». Anche negli anni del terrorismo, raramente si è andati oltre la targa commemorativa. «In questo modo è sparita la funzione dell'architettura pubblica», dice ancora Peluffo.
Al tema dell'assenza del monumento pubblico nella storia del dopoguerra fanno eccezione «alcuni esempi, fortunati, casuali, di straordinaria forza espressiva collegata all'idea di stato, di commemorazione, radici: il monumento delle Fosse Ardeatine, il Cretto di Burri a Gibellina, la chiesa di Michelucci al Vajont».
Ecco perché il monumento ai caduti italiani in tempo di pace (non solo militari, ma anche civili, medici, missionari, giornalisti) rappresenta oggi «un'occasione storica» per sanare quella frattura di 60 anni fa e liberare nuove energie nella rappresentazione dello stato, del pubblico. «L'affermazione che proprio oggi ci sia una grande opportunità storica - dice Peluffo - può suonare strana o strumentale in un momento in cui il linguaggio politico della contrapposizione sembra prevalere, con accenti addirittura più duri di quelli di un tempo. Eppure, le ferite del dopoguerra vengono oggi sciolte, lasciando spazio a nuove possibilità di condivisione». Un monumento in cui possano riconoscersi tutti gli italiani, diceva l'originaria proposta del Sole 24 Ore.
Per la sinistra si tratta di abbandonare le paure di un tempo. «Si può parlare di monumentalità senza essere reazionari», dice Peluffo chiamando in causa François Mitterand ma anche il tema delle piccole opere pubbliche. «Deve essere affrontato il tema pensando che la qualità va distribuita in modo capillare sul territorio, non bastano opere simbolo, magari con la scorciatoia di farle firmare allo star system di turno». Per la destra si tratta di accettare fino in fondo la contemporaneità. «All'idea di patria, di unità non devono necessariamente corrispondere i simboli e gli ideali classici e della tradizione», come fu nell'epoca fascista. «La contemporaneità sta nell'ammettere che ogni volta la reazione che produce un monumento può essere diversa. Non c'è più un unico modo di reagire valido sempre e per tutti».
In questa identità sarebbe fondamentale anche affermare «la presenza e l'importanza democratica dell'architettura pubblica». Si parte dal monumento ai caduti ma si può arrivare alle scuole, agli ospedali, agli edifici pubblici. «Chi ha detto che devono essere per forza brutti?»
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