L'architetto newyorkese è convinto che il tema possa essere alla base di un concorso internazionale di idee. «Immagino ci sarebbe molto interesse», dice. L'oggetto, per come la vede lui, sarebbe non un allestimento temporaneo leggero, ma un luogo stabile dove possano facilmente arrivare molte persone. Una convinzione che spazza via molte timidezze di architetti contemporanei italiani, preoccupati forse del segno indelebile.
L'opera che Libeskind immagina – e che chiama anche Stonebreath, respiro di pietra - dovrà essere un'attrazione urbanistica e architettonica, certo; parlare a milioni di persone. Molto più di un semplice paesaggio o di uno spazio pubblico o di un'opera d'arte astratta e formale. «Un luogo denso di significato – dice Libeskind - dove imparare e dove comunicare. Diversamente da chi sostiene che i memoriali oggi debbano essere freddi e senza lacrime, io penso l'opposto: un memoriale deve suscitare profonde emozioni e farle risuonare, raccontando la storia del sacrificio e l'incontro con esso».
Roma è la città ideale per questo Requiem in Stone: un'altra testimonianza di risposta alla nuova barbarie che ha infiammato il mondo dopo l'11 settembre 2001. Un messaggio di pace. «A differenza del passato – dice l'architetto americano – dove combattevano nazioni contro nazioni, queste nuove guerre sono senza confini e senza bandiere. Sono come incendi nella foresta che si diffondono senza preavviso e senza controllo a seconda di dove tiri il vento».
La solidità materiale della pietra o del marmo, ma anche luce e proporzione. E ancora la memoria, immateriale come l'informazione. «Siamo nel ventunesimo secolo e questa architettura di pietra non potrà non incorporare un Book of Memory». Questo libro della memoria dovrà essere elettronico e interattivo, presente in differenti luoghi in differenti momenti e contenere i messaggi alla posterità di quelli che hanno provato affetto per i caduti.
Proprio la capacità di fare informazione Libeskind mette al centro di questa architettura stabile. Un'informazione non vuota, che sia capace di trattenere il valore e il dolore. «Ogni individuo che è stato ucciso – dice - soldato o civile, non è soltanto un dato statistico o un nome che appare una volta in un giornale, ma rappresenta una vita persa della cui assenza soffre il mondo intero. Un memorial deve parlare di questa tragedia irreversibile che riguarda la singola anima e al tempo stesso aprire un nuovo orizzonte positivo».
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