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Un'Europa unita per la ripresa

di Stefano Micossi

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25 agosto 2009

Il ferragosto ci ha portato qualche buona notizia sull'economia: l'Asia è in forte ripresa, gli Stati Uniti rimbalzano, anche in Europa il secondo trimestre non è stato male come si temeva, con la Germania e la Francia in piccolo recupero. Ma resta il fondato timore di una ripresa stentata, incapace di trarci fuori dal buco di produzione e domanda nel quale siamo caduti. L'Ocse stima il divario tra il prodotto potenziale e quello effettivo dell'area - che comprende i principali paesi avanzati - intorno al 6%, il più elevato degli ultimi quattro decenni (si veda grafico in alto). Ai ritmi previsti di ripresa, serviranno alcuni anni per riportarci ai livelli produttivi del 2006, mentre i tassi di disoccupazione sono previsti salire nei prossimi mesi sopra il 10% sia negli Stati Uniti sia in Europa (grafico in basso).

A livello mondiale, il problema centrale è la carenza di domanda aggregata: esauriti i margini per ridurre il risparmio e indebitarsi, i consumi delle famiglie nei paesi avanzati potranno al meglio crescere al ritmo dei redditi da lavoro, che però è fortemente compresso dalla concorrenza del lavoro a basso costo dei paesi asiatici. Uno spazio maggiore potrebbe derivare da un sostanziale apprezzamento delle monete asiatiche, ma le autorità di quei paesi per ora non ne vogliono sentir parlare.
In Europa il problema è aggravato dalla scarsa flessibilità delle strutture economiche, in una fase in cui si dovrebbe accelerare il cambiamento strutturale e invece si tende a frenarlo, scoraggiando così gli investimenti; nonché dai costi elevati dell'energia e dei trasporti, e in generale dei servizi, per la mancata realizzazione di un mercato interno integrato. La risposta all'emergenza da parte dell'Unione Europea è complessivamente stata efficace nel frenare la caduta del prodotto e dei redditi, ma non sarà sufficiente a rilanciare la crescita. Un periodo prolungato di stagnazione può mettere a rischio non solo il mercato interno, ma anche la moneta comune.

È necessario un salto di qualità nelle politiche comuni nel Consiglio europeo, capace anche di offrire all'opinione pubblica il segno di una ripresa d'iniziativa. Gli interventi necessari erano stati indicati nel piano europeo per la ripresa approvato in dicembre dal Consiglio, la loro attuazione richiede una disponibilità a porre in questione luoghi comuni consolidati a livello nazionale, che finora è mancata.
In primo luogo, senza un'azione comune più consistente per sostenere la domanda, la somma delle politiche nazionali di contenimento dei disavanzi pubblici e dei costi interni a livello nazionale può darci una crescita continentale nel medio termine dell'1-2%, insufficiente per riassorbire i disoccupati e migliorare il tenore di vita delle popolazioni. Gli spazi per politiche nazionali di sostegno della domanda più aggressive sono limitati dalla crescita del debito pubblico; inoltre, vi è il rischio che essi assumano connotazioni protezionistiche, restringendo il mercato invece di promuoverlo. Dunque serve una forte accelerazione degli investimenti promossi al livello dell'Unione, centrata sugli obiettivi di rafforzamento delle infrastrutture materiali e immateriali e di miglioramento dell'efficienza energetica, come da tempo proposto dalla Commissione europea.

I mezzi finanziari non possono che venire dall'esterno dell'area, attirando gli ingenti capitali in cerca d'impiego attraverso emissioni di obbligazioni dell'Unione Europea. Come da tempo propone il ministro Tremonti. La Banca europea degli investimenti (Bei) offre già lo strumento necessario, sia per la sua capacità di valutare i progetti, sia perché il suo statuto contiene criteri condivisi di ripartizione degli oneri del debito tra i paesi membri (al quale il bilancio comunitario potrebbe anche esser chiamato a contribuire); inoltre, i governi sono rappresentati direttamente nei suoi organi di governo. Insomma, i timori tedeschi di un utilizzo delle risorse raccolte sui mercati internazionali per finanziare politiche di bilancio lassiste dei paesi membri non hanno qui ragion d'essere. Naturalmente, il capitale della Bei deve essere aumentato in modo da consentire un debito molto maggiore.

In secondo luogo, occorre rafforzare gli interventi di sostegno all'occupazione, utilizzando appieno il Fondo sociale europeo e gli interventi nazionali per accrescere il capitale umano e favorire la transizione verso nuove occupazioni dei lavoratori investiti dalla crisi. Anche qui, il riferimento primario restano gli obiettivi di flessibilità gestita fissati nel 2000 nell'Agenda di Lisbona. Ma i singoli stati non ce la fanno a resistere alle richieste di protezione che vengono dai sindacati e dall'opinione pubblica; la difficoltà è aggravata dalla pressione del lavoro immigrato a basso costo.

Un quadro comune di regole può convincere ad accettare una maggiore flessibilità, creando una piattaforma comune di protezione più credibile. In primo luogo, il Consiglio dovrebbe definire criteri comuni oggettivi e vincolanti per gli schemi di sostegno alla disoccupazione, tali da superare la frammentazione e la pericolosa discrezionalità degli interventi dei singoli stati. In secondo luogo, si dovrebbero stabilire criteri comuni per la determinazione in tutti i paesi di un salario minimo capace di frenare la concorrenza al ribasso dei salari.
  CONTINUA ...»

25 agosto 2009
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