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Sul Fisco il Pd dirà mai qualcosa «di liberista»?

di Alessandro De Nicola

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25 aprile 2010

Evviva, si riparla di tasse. Oddio, per la verità non si è mai smesso, anche se negli ultimi mesi la cacofonia imperante è stata interna alla maggioranza: Tremonti, pur arginando gli assalti alla diligenza della spesa pubblica, ripeteva che spazio per riduzioni fiscali non c'è; Berlusconi invece auspicava di tagliare le imposte e menava vanto della soppressione dell'Ici.

Il sasso nello stagno lo ha lanciato Carlo De Benedetti il quale, con un lungo e argomentato articolo sul Foglio, ha proposto una formula che lo farebbe portare in trionfo da gran parte del partito repubblicano. Non quello del suo amico Bruno Visentini, però, ma il Grand Old Party americano, corrente libertaria e antistatalista. Dice infatti l'Ingegnere: da 30 anni l'Italia è sull'orlo del baratro sul lato debito e deficit pubblico. Peccato che da 20 anni siamo stagnanti e perdiamo velocità in modo drammatico non solo nei confronti dei dinamici cinesi, indiani e brasiliani, ma anche di americani e di tutti, ma proprio tutti, gli europei. Quindi ci vuole un bel colpo di reni, spostando la tassazione dalle persone alle cose e soprattutto «lo choc potrà venire solo con una poderosa riduzione delle imposte che oggi gravano sul lavoro e, indirettamente, sulle imprese. Serve un abbattimento massiccio e generalizzato delle imposte sulle persone fisiche e sulle società».

E la sforbiciata dovrà andare a vantaggio di tutti, anche dei più ricchi con più di 100mila euro di reddito annuo, i quali oggi rappresentano lo 0,9% dei contribuenti ma versano il 19% del gettito fiscale. Non una semplice riallocazione tra imposte dirette e indirette, dunque, ma un drastico abbassamento della percentuale del Pil rappresentato dagli introiti del fisco, compensando la differenza con robusti abbattimenti della spesa pubblica.

Applausi a scena aperta a De Benedetti. Da chi? Non dal centro-destra in altre faccende affaccendato (e che comunque ha in uggia l'Ingegnere) né dai giornali del gruppo L'Espresso, forse per understatement e probabilmente perché i loro direttori non sono reaganiani come l'editore. È il Partito democratico a gioire. Già l'onorevole Latorre, vicino a D'Alema, aveva rilasciato un'intervista qualche giorno fa in cui diceva che la pressione fiscale era troppo alta e che i democratici non potevano più essere quelli che difendono lo stato assistenziale. Post-De Benedetti, Stefano Fassina, responsabile economico, si è dichiarato d'accordo, parlando di riqualificazione della spesa corrente e dell'immancabile lotta all'evasione. Enrico Letta ha addirittura scritto un articolo evangelico-liberista, rispolverando la parabola dei talenti e affermando che bisogna premiare chi crea sviluppo.

Bene, mi son detto, vuoi vedere che il liberismo è diventato veramente di sinistra? Sono andato allora a leggere le 10 idee del Pd per l'economia presentate il 20 aprile: ce ne sono molte adatte per aumentare la spesa pubblica e nessuna per ridurla. E va beh, pazienza. Poi, poi... navigando per il sito del Pd cosa scorgo? Proposta di Bersani dello stesso giorno: aumentiamo l'aliquota Irpef per i più ricchi dal 43 al 45% per finanziare la Cig e portarla da 12 a 24 mesi. Alla faccia dell'operoso personaggio del Vangelo che faceva fruttare i suoi talenti!
I poveri democratici, insomma, riescono con allarmante frequenza ad apparire sconclusionati e non si tolgono di dosso il mito del Fisco buono e redistributore. Berlusconi può dormire perciò sonni tranquilli: il suo impero comincerà a scricchiolare davvero il giorno in cui sarà Apicella ad abbandonarlo.

adenicola@adamsmith.it

25 aprile 2010
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