Mai come quest'anno Giorgio Napolitano è riuscito a fare del 25 aprile la festa dell'Italia "riunificata". La guerra aveva lacerato e distrutto il paese, lo aveva spezzato a metà. E oggi, 65 anni dopo, il giorno della Liberazione ha un senso soprattutto se serve a riunire una nazione sfilacciata e corrosa da un male oscuro. Aiutandola a ritrovare il senso di un'identità profonda, al di là delle polemiche politiche. Si poteva immaginare che il capo dello Stato non si sarebbe limitato a commemorare una data storica. Ma il discorso di Milano ha avuto uno spessore civile che contrasta in modo evidente con la povertà e l'astiosità del dibattito politico.
A un'Italia in cui la memoria storica evapora e in cui qualcuno crede che il Tricolore sia una moda di cinquant'anni fa, Napolitano ha offerto una lettura del 25 aprile come festa non di parte (e perciò obsoleta), bensì come autentico giorno della nazione. Proprio perché la Liberazione è anche riunificazione. In altre parole è la riscoperta di ciò che unisce gli italiani, anzi di ciò che li ha riuniti dopo un immenso trauma.
Tutto questo è stato detto senza retorica e con vera commozione, come estremo messaggio a un paese distratto e nevrotico. E non è un caso che il presidente abbia rievocato il discorso di Berlusconi, un anno fa, a Onna, la cittadina abruzzese devastata dal terremoto. Quell'intervento viene considerato ancora oggi come un punto alto della lunga stagione politica del presidente del Consiglio. L'uomo che in precedenza aveva sempre ignorato il 25 aprile, in quanto festa "comunista" e quindi ostile, l'anno scorso fece della ricorrenza un motivo di riconciliazione, con parole misurate e attente che furono apprezzate anche dall'opposizione. Dopodiché si entrò, di lì a qualche settimana, nel tunnel buio delle Noemi e più tardi delle "escort". Lo spirito di Onna si dissolse e con esso la vaga speranza che la volontà di riconciliare il paese fosse tradotta in gesti concreti.
Ora Napolitano cita Onna per stimolare sia Berlusconi sia l'opposizione a ritrovare quel clima. Ovviamente non è affatto semplice, dato che in questi dodici mesi il confronto pubblico si è piuttosto degradato. Ma è l'unico modo per non arrendersi al manierismo per cui tutti invocano le riforme, meglio se "condivise", ma nessuno compie passi concreti per individuare un minimo di convergenza in Parlamento. Nel frattempo aumentano i rischi di strappi e forzature di tipo politico-istituzionale.
È noto dalle indiscrezioni che il capo dello stato ha osservato con inquietudine lo scontro dell'altro giorno tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera: due politici rivali, certo, ma anche due tra le massime cariche istituzionali. Il rischio di confondere i piani, in una foga polemica sempre più veemente, è reale. Il che aprirebbe scenari ambigui che Napolitano di sicuro non gradisce. Si torna a parlare di legislatura fallita e di elezioni anticipate. E sappiamo quanto il Quirinale sia attento alla difesa delle sue prerogative al riguardo. Ma l'unico modo per evitare nuove tensioni e magari pressioni improprie ai vertici delle istituzioni consiste nel tentare sul serio e non solo in forma propagandistica la via delle riforme, nei fatidici tre anni che abbiamo davanti. Il senso di questo 25 aprile, in cui la memoria del passato si fonde con le ansie del presente, è tutto qui.