Il rigore dei conti pubblici deve riguardare certamente anche regioni ed enti locali che in passato si sono resi protagonisti di sprechi e gravi dissesti. È utile, quindi, in linea di principio, lo strumento del patto di stabilità. La nostra inchiesta sugli effetti del patto in dodici grandi comuni (pubblicata a pagina 16), con un taglio di spesa in conto capitale per 700 milioni in due anni, pari al 30%, conferma però che il patto di stabilità colpisce alla cieca, con tagli consistenti a quegli investimenti che dovrebbero migliorare il mix qualitativo della spesa pubblica e fare da volano all'economia. Qualcosa non va, quindi, nell'applicazione del patto: eccesso di rigidità e di automatismo che non consente di premiare i virtuosi e punire i furbi. Tanto più se si dispongono interventi straordinari discrezionali in favore di comuni che virtuosi non sono (Roma, Palermo, Catania). Gli alleggerimenti disposti dall'ultima finanziaria sono la conferma che bisogna cambiare, ma non sono sufficienti. Premiare chi pianifica e realizza con coerenza i propri investimenti, questo è il punto.