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Chi gioca coi derivati si scotta

di Marco Onado

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25 aprile 2010

Comunque vada a finire, l'azione della Sec contro Goldman Sachs è destinata a lasciare un segno profondo nel sistema finanziario globale. Il caso è molto più sottile dei tanti altri che hanno dimostrato come la crisi finanziaria sia stata determinata anche da frodi e falsi contabili di ogni tipo.

Gli esperti concordano nel dire che non sarà facile alla Sec provare l'esistenza di un comportamento fraudolento, ma già i fatti non controversi si prestano ad alcune considerazioni. In sintesi, il caso è apparentemente semplice: nel 2007 la grande banca di investimento ha confezionato un titolo strutturato (un Cdo) che rispondeva alle esigenze di un hedge fund che aveva previsto la crisi imminente e dunque puntava su una caduta del mercato immobiliare e dei titoli emessi a fronte dei mutui ipotecari. Successivamente, ha venduto i titoli senza esplicitare adeguatamente questa informazione. L'effetto netto è stato che Goldman ha incassato una commissione di 150 milioni di dollari (ma ha avuto anche una perdita perché non aveva perfettamente coperto la sua posizione), l'hedge fund ha guadagnato quasi un miliardo di dollari, mentre gli investitori, fra cui Abn Amro (oggi del gruppo britannico Rbs) e la tedesca Ikb hanno registrato perdite consistenti, che aggiunte alle altre hanno richiesto interventi di salvataggio dei rispettivi governi.

Goldman Sachs non solo nega di aver posto in essere comportamenti men che corretti (anche se ieri sono state difuse alcune e-mail che dimostrerebbero il contrario), ma sostiene di aver seguito prassi di mercato assolutamente comuni e consolidate. E proprio qui sta il punto. I titoli immessi sul mercato, come tutti quelli della finanza moderna, sono tanto rischiosi quanto complessi e avviluppano le banche di investimento che li confezionano in un intrico di conflitti di interesse senza soluzione. Tradizionalmente, e fino a non molti anni fa, le investment banks erano istituzioni fondamentalmente al servizio dei clienti, paesi sovrani e grandi imprese, per cui curavano le emissioni azionarie e obbligazionarie. Quel ramo di attività oggi fornisce una frazione dei profitti provenienti dall'attività di creazione di titoli strutturati e dal trading relativo (nel bilancio 2009 di Goldman Sachs, 1,3 miliardi di dollari contro 17,3).

Nel sistema finanziario di oggi, le banche di investimento si trovano in perenne conflitto con se stesse: Goldman Sachs aveva saggiamente deciso di uscire dal mercato immobiliare e non investiva quindi nei titoli che però continuava a confezionare. Fin qui nessun problema, se la strutturazione e la vendita di titoli così complessi non comportasse un rapporto diretto e quindi di consulenza con entrambe le parti delle transazioni. Sul piano giuridico, tutto si riduce a stabilire se Goldman Sachs doveva o no informare gli investitori che l'hedge fund che aveva richiesto la strutturazione del titolo aveva una posizione al ribasso. Una questione molto sottile, trattandosi di investitori qualificati e che darà origine a interminabili battaglie legali. Ma rimane la sgradevole constatazione di quanto possa essere labile il confine fra la correttezza e l'inganno in un mondo finanziario così complesso e capace di generare profitti tanto elevati, e soprattutto come sia difficile mantenere una posizione equilibrata fra due clienti che hanno interessi diametralmente opposti fra loro.

Fra le tante riforme in discussione, poche possono contribuire ad affrontare questo tipo di situazioni. Non certo la drastica separazione fra attività bancaria ordinaria e investment banking oggi dibattuta in America, poiché il problema è tutto interno al secondo segmento. Né sembra possibile introdurre vincoli più stringenti di quelli attuali sui conflitti di interesse e sulle separazioni organizzative, ammesso che abbiano una qualche efficacia. Caso mai, potrebbe essere utile lo spostamento dei titoli strutturati e derivati sui mercati regolamentati (misura proposta per tutt'altro scopo: il controllo del rischio di controparte, con le sue implicazioni sistemiche) perché in questo modo si sgonfierebbe la massa enorme dei titoli in circolazione, consentendo così agli investitori di orizzontarsi meglio. Un effetto indiretto, ma che può dare un contributo significativo. Sembra invece difficile che si possano attuare misure drastiche come quella proposta da George Soros, di assoggettare tutti questi titoli alla registrazione presso la Sec (si veda il Sole 24 Ore di ieri), come quelli destinati al pubblico retail. Proprio nel caso in questione, non si vede come il regolatore avrebbe potuto capire che mancava un'informazione determinante.

Se la Sec vincerà la causa, vi sarà sicuramente un importante precedente che orienterà le innumerevoli azioni legali che sono già state avviate negli ultimi mesi e che sicuramente si intensificheranno da oggi. Nel frattempo, una grande responsabilità ricade sugli investitori e soprattutto su coloro che hanno a cuore il sostegno dell'economia produttiva. Fra le vittime della presunta frode c'è una banca tedesca, non esattamente una sprovveduta vecchietta, eppure una fra le prime banche a dover essere salvata dal governo nell'estate del 2007 proprio a causa di operazioni di questo tipo. Insomma: una delle istituzioni che hanno costruito la loro reputazione per la capacità di sostenere il Mittelstand, cioè la spina dorsale dell'industria tedesca è crollata per aver voluto giocare a un gioco più grande di lei.

  CONTINUA ...»

25 aprile 2010
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