Quattro punti di deficit da tagliare e 30mila persone in piazza. Due cifre per dire che cosa sia oggi la Grecia sull'orlo del crack. Piazze bloccate dallo sciopero generale ad Atene e Salonicco. Stop a treni e traghetti, aerei e aliscafi. La promessa dei sindacati - bloccare - è stata mantenuta, la prova di forza portata a termine. Tutto questo ha un sapore antico. Il riflesso identitario e muscolare della piazza, il misurare in «uomini per metri quadri» la capacità di esserci e rispondere è stata la strategia che i sindacati hanno seguito nel secolo passato. In un'era in cui le trincee di un conflitto sociale a somma zero erano facili da leggere come bianco e nero, evidente chi "vinceva" e a danno di chi. Il riflesso pavloviano permane anche dopo che quegli schemi - facili e fallaci - sono ormai saltati. I sindacati greci sanno, si spera, che ad Atene e dintorni ormai o si vince tutti o si perde tutti. Come a Madrid o a Lisbona. Non si discute ovviamente della responsabilità del ceto politico che ha condotto a questo. Ci sarà un momento per fare i conti, nelle urne. Ora però occorre evitare l'effetto contagio. Non del debito da paese a paese, ma del crack dal palazzo alla piazza.