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Quei cattolici che fecero laica l'Europa

di Romano Prodi

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25 marzo 2010
Consiglio d’Europa a Strasburgo. Robert Schuman (Francia), Dirk Stikker (Olanda) e Joseph Bech (Lussemburgo) discutono in attesa della seduta del Consiglio

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Naturalmente non tutti hanno ritenuto di condividere questo disegno fondato sul dialogo e sulla mediazione. In questa direzione ho infatti incontrato difficoltà non marginali nella mia attività di governo durante la quale il presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini, forzando il concetto di non negoziabilità dei principi ha, con grande abilità politica, impedito ogni possibilità di mediazione su alcuni temi riguardo ai quali una saggia mediazione è assolutamente necessaria per la convivenza civile e per la concreta applicazione dei principi stessi. Sono inoltre personalmente convinto che sia il dialogo a rendere più fecondo il messaggio del Vangelo.
Le Chiese sanno più di altri che il nodo del futuro della politica è quello della saggia mediazione culturale: una capacità di trovare equilibri dinamici che, senza compromettere e senza confondere principi, valori e convinzioni, guardi alla società pluralistica come a un dono. Così in una appartenenza alla propria famiglia religiosa cosciente e gioiosa, osservante e umile, ciascuno possa capire qual è il suo posto come membro di una società pluralistica, che cerca di accordarsi nei modi e forme diverse a seconda delle necessità, rendendo con questo più facile il perseguimento del bene comune.

Se questo slancio verrà da risorse interiori, bene: se no verrà da altre parti, perché l'Europa deve andare avanti e andrà avanti. Io non mi auguro che la spinta venga da qualche grave crisi - ma sento di poter dire che se non ci saranno spinte ad andare avanti, una crisi potrebbe diventare il motore che fa ripartire un progetto politico capace di catalizzare energie economiche, intellettuali e spirituali. Un progetto fortemente puntato sul pluralismo che crei emozione e speranza nella gente, da opporre a quei progetti che cercano di puntare su identità che dividono e sulla paura. Negli anni fra le due guerre, il nazionalismo era alimentato dall'illusione di una centralità dell'Europa: si sottovalutava ampiamente la potenza economica e militare degli Stati Uniti. Il grande progetto europeistico della seconda metà del secolo XX invece si basa sulla consapevolezza che proprio la complessità del mondo - oggi molto accresciuta dalla definitiva emersione della Cina, dallo spostamento del baricentro mondiale nell'area pacifica, dalla visibile impossibilità di tenere l'Africa per generazioni e generazioni in una condizione subumana - richiede un messaggio unificante.
Oggi l'Europa non ha più la centralità di un tempo ma, soprattutto, ha sempre meno un messaggio unificante da proporre, se non quello banalmente populista. Un populismo che ne diminuisce l'autorità nella considerazione del mondo e la rende irrilevante perfino su quei quadranti (pensate al Medio Oriente) che le sono contigui. Ma questa situazione critica può aprire nuove opportunità, dimostrando che c'è bisogno di cambiare mentalità, di essere capace di pagare un prezzo serio in termini di riconoscimento dell'altro. La Chiesa può insegnare questa nuova mentalità, con una pedagogia positiva, che sappia dosare i no e accompagnare una società in tumultuosa trasformazione. Oggi che non siamo più tutto, bisogna saper pensare parole di pace e dire per tempo parole di pace.
Conclusione del discorso di apertura al convegno di Münster sull'edizione dei dispacci Pacelli

25 marzo 2010
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