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Se Berlino vende l'anima al populismo

di Enrico Brivio

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25 marzo 2010

Pochi tedeschi, di questi tempi, concordano con il sommo Goethe che definiva i greci il popolo che ha saputo «sognare il sogno della vita nel modo migliore». Il debito di Atene fuori controllo è diventato ossessione e capro espiatorio di un'opinione pubblica germanica poco incline a perdonare le debolezze, specie dei partner del Sud. E la cancelliera Angela Merkel si è fatta portatrice di quel teutonico rigore espresso dall'84% dei tedeschi, ponendosi di traverso fino all'ultimo all'ipotesi di allargare i cordoni della borsa e organizzare un salvataggio concordato dai paesi dell'eurozona, per rifinanziare i circa 20 miliardi di euro di bond greci in scadenza entro maggio.
Con tutta probabilità il summit europeo che si apre oggi a Bruxelles si chiuderà con un'intesa all'insegna del doppio binario per Atene. Ovvero prospettando un intervento del Fondo monetario internazionale - si parla di circa 10 miliardi - supportato da finanziamenti degli stati dell'area euro. Dopo settimane di diatribe sulla nascita di un Fondo monetario europeo e sull'esigenza di gestire la crisi nella casa di Eurolandia, prevarrà invece un'opzione di compromesso. La Grecia non verrà lasciata da sola a bussare alle porte di Washington del Fmi, né saranno i paesi dell'euro a fissare tutte le condizioni. Si delinea l'ipotesi preferita dal ministro italiano dell'Economia, Giulio Tremonti, di un'Europa che organizza l'intervento, usando anche il Fondo monetario come banca e know how, ma «facendo in modo che l'Fmi non vada in una landa desolata».
Di per sè la soluzione può apparire sensata. È pessimo però il modo in cui vi si è arrivati. Attraverso risse, divisioni e recriminazioni tra Berlino, Parigi e i principali paesi europei, senza un briciolo di coordinamento e strategia. Un triste spettacolo che l'impietoso termometro dei mercati ha punito, affossando ieri l'euro a quota 1,3321 contro il dollaro, ai mimimi di dieci mesi.

Anche l'indebolimento dell'euro può, in fin dei conti, non essere considerato una iattura, se si guarda all'esigenza di carburare l'export europeo in una fase congiunturale tuttora asfittica. Ma un giudizio sulla vicenda greca, sulla sua probabile soluzione e gli effetti, non può prescindere dalla mesta presa di coscienza dell'esplosione degli egoismi nazionali di corto respiro cui ha dato la stura.
Complice la crisi economica e l'esigenza di vincere nelle elezioni regionali in Nord-Reno Vestfalia di inizio maggio, Merkel non ha saputo - al contrario di quanto fece Helmut Kohl ai tempi della riunificazione e della nascita dell'euro - forzare la mano all'opinione pubblica tedesca, ma ne è diventata schiava. E non ha avuto il coraggio di cogliere l'occasione della crisi greca per far fare un salto di qualità al processo di integrazione europea, con un passo avanti verso un Governo economico dell'eurozona o perlomeno la progettazione di nuovi strumenti.
È così apparsa avventurista e poco comprensibile anche la proposta del ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, di creare un Fondo monetario europeo, prontamente corredata da rafforzamento delle sanzioni e addirittura dalla possibilità di espellere dall'euro il paese reprobo. Lo stesso Schäuble ha dimostrato subliminalmente scarsa dedizione al progetto di integrazione europea, quando ha parlato di un Bayern Monaco messo in difficoltà dall'Olympique Lione e ha detto di non aver comunque sperato che la squadra francese giocasse meno bene. La sua metafora calcistica è rimasta comunque nell'ottica dei club nazionali; non lo ha sfiorato nemmeno l'idea di pensare a un unico team europeo in cui tutti debbano fare la propria parte con umiltà. E che quindi anche il colosso tedesco debba fare la sua, stimolando la domanda interna e diminuendo quel surplus commerciale che certo non aiuta il risanamento dei conti di Grecia e Spagna.

Ai conoscitori del bon ton dell'asse franco-tedesco, non è sfuggita poi l'indelicatezza di Berlino di far partire dalle colonne del Financial Times la proposta di Schäuble di creare un Fme. Sgarbo al quale Parigi ha prontamente replicato affidando alle stesse colonne del quotidiano della City il severo rimprovero del ministro dell'Economia Christine Lagarde alla Germania, per non aver azionato la leva dello stimolo fiscale. Nicolas Sarkozy, fresco di delusione elettorale, si è poi adoperato con José Luis Zapatero per un pre-vertice dell'eurozona, per mettere sotto ulteriore pressione la Merkel.
Sembrano passati anni luce non solo da quando Kohl e François Mitterand si accordavano sulla moneta unica, ma anche da quando Gerard Schröder e Jacques Chirac si incontravano nel 2002 privatamente al Conrad Hotel di Bruxelles alla vigilia di un summit e condizionavano la decisione dell'Unione europea su sette anni di prospettive finanziarie future. Ma non è solo il motore franco-tedesco a essere finito fuori giri e a non essere più in grado di dare il "la" a un'Europa cacofonica.
Ad apparire parcellizzato è un intero sistema, in cui le elezioni in Westfalia o la popolarità di un giorno vale più di un disegno comune di stabilità economica. In cui un punto di popolarità nei sondaggi nazionali merita più attenzione di una strategia finanziaria continentale. Non ci si può meravigliare se poi la gente appare sempre più distratta e meno propensa a capire perché dovrebbe mai sognare il sogno europeo.

enrico.brivio@ilsole24ore.com

25 marzo 2010
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