«Non posso permettere che l'Italia finisca nello sciacquone». È il 16 luglio del 1974 quando Henry Kissinger, segretario di stato americano, telefona ad Arthur Burns presidente della Federal Reserve. Sono le 9,30 del mattino. «Ti avevo chiamato ieri – dice Kissinger – sul possibile aiuto all'Italia, se questo diventa necessario e capisco che un'idea è quella di usare una linea di conto swap e che tu sei un poco riluttante a farlo. Non voglio entrare nei dettagli finanziari dell'operazione che non riesco a capire completamente. Voglio solo sottolineare che dal punto di vista della politica estera noi non possiamo permettere che l'Italia finisca nello sciacquone».
«Sono d'accordo – risponde Burns – e ho tentato attivamente di mettere insieme altre nazioni per organizzare un pacchetto di aiuti, ma quello che possiamo fare attraverso una linea swap è molto limitato. L'importo potrebbe essere elevato ma sarebbe solo per un prestito a tre mesi e non è quello di cui (gli italiani) hanno bisogno».
«Gente del mio staff mi dice che tu non approveresti (un prestito) superiore a 300 milioni $», incalza il segretario di stato. «Ma solo per iniziare», risponde il solerte presidente della Fed. Kissinger replica di «non volere entrare in un dibattito sui numeri» e, per meglio far capire l'importanza politica della cosa, conclude: «Tutto quello che voglio far notare è che occorre dare a questa cosa una priorità davvero alta». Burns capisce perfettamente il messaggio. Ricorda che già s'è mosso in questa direzione e «in un incontro con i ministri delle Finanze» aveva fatto pressioni «su tedeschi e giapponesi affinché contribuissero all'operazione verso l'Italia». La soluzione sarebbe un prestito a medio termine e non una linea swap.
La trascrizione della telefonata è stata resa pubblica solo qualche giorno fa. È estremamente interessante poiché dimostra il grado di attenzione del governo americano verso un paese alleato e in crisi com'era l'Italia di allora (un intervento degli Usa c'era già stato nel 1925-26, come ricorda Franco Spinelli). Ma per comprendere meglio il senso delle parole di Kissinger, occorre ricordare le condizioni economiche e finanziarie del nostro paese nel 1974 e soprattutto qual era la situazione politica: ossia la cosa che più preoccupava il ministro degli Esteri americano.
L'Italia sta entrando in una recessione ben più dura degli altri paesi europei. Fiaccata dal prezzo del petrolio che quadruplica in pochi mesi, da un deficit delle partite correnti che sfiora gli 8 miliardi $, da una inflazione al 20% e reduce dall'ennesima svalutazione della lira, l'Italia è costretta a fare i conti con un forte calo della produzione (il Pil sarebbe sceso del 3,5% nel 1975) e un crescente deficit dei conti pubblici, al punto che il rapporto debito-Pil sarebbe cresciuto dal 52% del '73 al 60,6% del '76. Il paese ha appena ricevuto ingenti finanziamenti dall'Fmi e ha dovuto sottoscrivere una serie di impegni e condizioni (tra cui il pignoramento delle riserve auree) che stanno creando forti tensioni sociali.
Al governo c'è Mariano Rumor: anzi ai governi, perché il leader della Democrazia cristiana ne imbastisce tre nel corso dell'anno, tutti di centro-sinistra, e l'ultimo durerà appena tre mesi. A dicembre gli succede Aldo Moro che forma un esecutivo bicolore (con i repubblicani), con una sorta di appoggio esterno dei socialisti e con un'opposizione più morbida dal Pci. È probabilmente questo che preoccupa Kissinger, tanto più che il nostro paese è agitato da scioperi violenti e squassato dalle stragi del terrorismo nero e rosso.
Secondo la ricostruzione fatta da Raymond Lubitz (governatore della Fed) l'Italia riceve in prestito 5,9 miliardi $: una parte dall'Fmi, un'altra dalla Comunità europea e un'altra ancora dalla Bundesbank. Quest'ultima operazione è proprio quella propiziata da Kissinger: il quale dev'essersi speso molto per convincere i tedeschi, visto che il cancelliere Helmut Schmidt, come ha raccontato martedì Mario Deaglio sulla Stampa, non ne voleva sapere di prestare soldi («nemmeno uno stanco marco») all'Italia.