Molto di atteso, qualcosa di inedito. Il bollettino Istat sull'occupazione del 2009 presenta il conto dell'anno più salato ai tempi della crisi e dà una misura degli effetti sull'economia reale del crack finanziario. Il dato è questo: 380mila posti persi in 12 mesi, la flessione più marcata dal 1995. Leggermente meglio, e si sapeva, dei partner europei. Il dato inedito sta subito dietro, nella scomposizione dei numeri: aumentano i disoccupati italiani, crescono (anche se a ritmo più lento che in passato) gli occupati stranieri. E l'Italia si scopre in questo un paese sempre più "affluente", nel bene e nel male. In momenti di crisi il mercato del lavoro dei "paesi evoluti" tende a espellere manodopera dalla cima dell'albero (i settori a più alto tasso di capitale) mentre rimpiazza più velocemente la base (agricoltura e servizi a basso valore aggiunto) con manodopera straniera. È il ricambio dei low skilled low paid, la manovra fisiologica di un mercato che ammortizza i costi al ribasso. È soprattutto la faccia multicolore di un paese che, a questo punto, non potrebbe davvero fare a meno di immigrati.