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Fino a tempi recenti, erano in molti a ritenere che sarebbero state Cina e India i veri ossi duri nei colloqui sul cambiamento globale del clima. Invece, la Cina ha annunciato una serie d'iniziative importantissime nel campo delle tecnologie solari, eoliche, nucleari e del "sequestro" dell'anidride carbonica, volte a ridurre l'intensità delle emissioni di gas serra da parte della sua economia.
L'India, che a lungo si paventava potesse diventare una vera guastafeste, ha dichiarato di essere pronta ad adottare un importante piano d'intervento nazionale volto a lanciarla verso la sostenibilità energetica. Queste iniziative naturalmente costituiscono altrettante pressioni sugli Stati Uniti affinché passino anch'essi all'azione. Ora che perfino i paesi in via di sviluppo fanno sapere di essere pronti a raggiungere un'intesa globale, il Senato degli Stati Uniti può davvero far vedere di essere l'ultimo grande ostacolo che si frappone a un'intesa globale?
Obama ha a sua disposizione gli strumenti necessari a portare gli Stati Uniti nel solco scelto dalla comunità internazionale per affrontare il cambiamento climatico. Prima di tutto, sta negoziando accordi di parte con i senatori refrattari per attutire l'impatto economico sugli stati carboniferi e migliorare gli investimenti statunitensi in materia di ricerca e sviluppo, ed eventualmente l'adozione di tecnologie con il cosiddetto "carbone pulito".
In seconda istanza, può ingiungere all'Agenzia per la protezione dell'ambiente d'imporre controlli amministrativi sugli impianti a carbone e alle case automobilistiche, anche se il Congresso non approverà la nuova legge. In definitiva, la strada amministrativa potrebbe forse risultare perfino più importante ed efficace di quella legislativa.
La politica del Senato statunitense non dovrebbe far passare in secondo piano il problema di fondo: l'America ha agito irresponsabilmente da quando è stato firmato il trattato sul clima nel 1992. È il Paese più grande e più potente del mondo e altresì quello maggiormente responsabile per il cambiamento del clima, ma finora si è comportato senza alcun senso del dovere, sia verso la sua popolazione, sia verso il pianeta in generale, sia verso le future generazioni.
Anche i senatori degli stati carboniferi dovrebbero vergognarsi. È vero, gli stati da cui provengono avranno bisogno di qualche aiuto in più, ma in nessun caso si dovrebbe permettere che gli interessi di pochi mettano a repentaglio il futuro di tutto il pianeta. È giunta l'ora per gli Stati Uniti di rientrare a pieno titolo nella grande famiglia globale.
Jeffrey D. Sachs è professore di Economia e direttore dell'Earth Institute alla Columbia University
Copyright Project Syndicate 2009
(Traduzione di Anna Bissanti)