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Una ricca eredità da ripensare

di Aldo Bonomi

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26 aprile 2010

Ci sta provando, Firenze, a diventare la città regione del Toscanashire. Vetrina, nodo infrastrutturale, porta sul mondo di un sistema del made in Italy della moda e dell'alta qualità produttiva, in cui le imprese non sono molecole del capitale, bensì "progetti di vita", per dirla con le parole di un grande toscano come Giacomo Becattini.

Dopo essere stata, per diversi anni, prigioniera di sé stessa, Firenze è oggi un cantiere aperto. Le cui gru poggiano sulla consapevolezza, ormai acquisita, che il suo futuro passa dal ruolo che saprà giocare all'interno della dinamica tra flussi e luoghi. Lei che alcuni flussi, uno su tutti le banche e l'economia del credito, li ha di fatto inventati. Firenze si è trovata a subire tutte le dimensioni dei flussi: quello dei migranti, dei turisti, dei mercati mondiali aperti in uscita e in entrata, della nascita e dell'"atterraggio" dei grandi gruppi bancari sui territori con la loro turbo-finanza e la loro difficoltà a radicarsi nella comunità locale. E infine il flusso della crisi, che dalla Borsa di New York, tempo di uno stormir di ali di farfalla, si è riversata in tutto il mondo.

Non c'è alcun dubbio, del resto, che la drammatica "gelata" iniziata nell'autunno del 2008 abbia imposto la momentanea necessità di ritornare a giocare in difesa, nella speranza che il flusso più agognato, quello della ripresa, appaia all'orizzonte. Nell'attesa, però, Firenze non ha mai smesso di pensare al suo futuro. Partendo dalle sue virtù civiche, che costituiscono un imprinting decisivo della città, ma anche da quella tradizione produttivo-commerciale, figlia dell'artigianìa del tessile e della lavorazione della pelle, evolutasi in un sistema produttivo complesso, che comprende il commercio a lungo raggio, l'alta finanza, la rinnovata centralità lungo i principali assi di mobilità del paese. Sino, infine, alla sua straordinaria capacità di rappresentazione, alludendo non solo all'immenso patrimonio artistico-culturale che rende Firenze una delle icone globali del "bello", ma anche a iniziative come Pitti Immagine, che fanno da vetrina della moda italiana nel mondo.

Recenti o remote che siano, queste eredità vanno necessariamente investite, oggi, nella costruzione del futuro di questa città. Senza farsi troppo tentare dall'illusione di poter vivere di rendita e senza cader vittime dall'ideologia della decrescita serena. Dà fiducia, in questo senso, l'atteggiamento delle élite locali. Che sempre più sembrano orientate a prendere atto dell'urgenza di una compiuta modernizzazione della città, a partire dalle sue infrastrutture per arrivare a nuovi modelli di sostegno e cura delle debolezze e delle marginalità, più adeguati alle nuove forme di convivenza. In questo senso, è meritevole di ben più di una segnalazione il lavoro dell'Associazione Partners di Palazzo Strozzi. Che, su iniziativa di Leonardo Ferragamo, erede dello storico marchio, ha raccolto attorno a sé il meglio della vecchia e nuova borghesia fiorentina per ragionare assieme alla politica sulla città, sul suo ruolo, sulla sua visione del futuro e su cosa serve per rendere tangibile tale visione.

Un altro passo avanti è tuttavia necessario. Occorre infatti che Firenze assuma la piena consapevolezza di essere città-regione del Centro Italia, polo metropolitano di riferimento del terziario avanzato per quell'Italia di mezzo che ha vocazioni e strutture produttive comuni. Firenze, in altre parole, deve percepirsi come il cuore di un'area del buon vivere e del buon produrre, di una metropoli dolce. Capace, quindi, di pensare alla propria pianificazione territoriale al di là dei confini comunali, per abbracciare la vasta area urbanizzata cresciuta intorno al nucleo storico della città. E, soprattutto, per fasi nodo metropolitano capace di pensare se stessa come luogo di funzioni pregiate (logistiche, finanziarie, espositive, "eventologiche") che rendano riconoscibile e competitiva non solo la città, ma anche tutto ciò che a essa sta attorno. A cominciare proprio dai distretti e dalle imprese del made in Italy del tessile, dell'abbigliamento e del calzaturiero, nella lunga e difficile risalita del dopo crisi.

26 aprile 2010
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