Tra il malaffare che torna alla ribalta e l'approssimarsi delle elezioni regionali, ci sono priorità che sembrano scomparire dall'agenda della politica. Eppure ancora ieri Bruxelles ha previsto per l'Italia una crescita asfittica allo 0,7%. Vuol dire che la ripresa, se c'è, non morde. E che l'uscita dalla crisi è molto, troppo lunga.
L'organismo Italia è vivo. Le imprese hanno retto nei mesi più bui, anche grazie all'intelligente politica messa in campo dal governo sugli ammortizzatori sociali. Ora però vogliono ripartire. L'indice Isae sulla fiducia lo dimostra. E lo confermano i tanti imprenditori che hanno partecipato ieri agli incontri di Roma sulle opportunità d'impresa nel Mediterraneo.
Gli antibiotici però non bastano più. Nell'ultimo anno i nostri competitor hanno messo in campo politiche di stimolo per centinaia di miliardi. L'Italia no. Il livello del debito pubblico non lo ha consentito e bene ha fatto il ministro Tremonti a mantenere salda la barra del rigore. La Grecia è un monito. E tuttavia se il Pil non tornerà a crescere a ritmi elevati, non sarà solo il sistema produttivo ad essere messo alle corde, ma anche gli stessi conti pubblici. Per questo è tempo di cambiare fase.
Ci sono settori industriali, come le macchine agricole, che sono arretrati nel 2009 anche del 40%. Significa che migliaia di imprese sono tuttora a rischio. E con loro centinaia di migliaia di lavoratori. Non c'è tempo da perdere. Sono ormai mesi che si discute intorno al decreto per gli incentivi alle imprese. La dote si è via via assottigliata. L'auto si è tirata fuori. Le imprese hanno dovuto fare i conti con una realtà molto meno ricca di quanto, anche dal governo, si era inizialmente prospettato. Sarebbe grave se ora le elezioni rinviassero ancora il tempo delle scelte e riducessero ulteriormente la dote.
È di ieri la notizia che saranno assegnati alle regioni oltre 600 milioni di fondi Fas, che erano inizialmente legati a obiettivi da raggiungere. Quegli obiettivi non sono stati ancora raggiunti, ma i fondi arriveranno lo stesso: serviranno a coprire inefficienze nello smaltimento dei rifiuti o nella gestione degli acquedotti.
Sono capitoli diversi. Ma sarebbe un errore grave pensare di riempire le urne con mance elettorali, mentre il sistema produttivo, con i suoi lavoratori, resta ancora una volta al palo.