È strana l'atmosfera di questa campagna elettorale: ovattata nei modi, povera nei contenuti, ove tutti sembrano riposizionati entro una ritualità delle buone maniere che nasconde con difficoltà il fuoco che cova sotto la cenere. Sono trascorsi poco più di due mesi dall'episodio del Duomo, da quando un esaltato lanciò una statuina contro Berlusconi e lo ferì al volto.
Un tempo confuso e sospeso che sembra una parentesi, una bolla in cui le parti in causa recitano un copione già scritto. Un clima nuovo e artificiale incominciato con quell'atto violento e imprevedibile che ha avuto però il prodigioso effetto di stabilizzare il quadro politico, allora giunto a un punto di ebollizione difficilmente sostenibile, come quando si corre a spegnere il fuoco per evitare la fuoriuscita del latte dal pentolino: all'inizio di dicembre Berlusconi era additato come mafioso in un'imprevista quanto clamorosa coda del processo al suo braccio destro Marcello Dell'Utri; nell'aria ancora si potevano respirare i veleni del grave scontro istituzionale seguito alla bocciatura del lodo Alfano.
All'improvviso, soltanto poche ore dopo l'evento di piazza Duomo, tutti hanno preso a parlare di riforme condivise tra maggioranza e opposizione; e hanno cominciato a farlo nelle condizioni peggiori, ossia all'inizio di una campagna elettorale che per sua natura dovrebbe accentuare la competitività dei contendenti; eppure il cavallo delle riforme e quello delle elezioni hanno iniziato a galoppare insieme dentro l'arena della retorica pubblica.
È come se i due principali fronti, il Pdl e il Pd, avessero segnato un armistizio non scritto, un'intesa cordiale a non farsi troppo male, un atto di non belligeranza che produce le propagande incrociate e trasversali di quest'anomala contesa in cui, al di là della personalizzazione del messaggio, non si riescono più a distinguere con chiarezza la destra, il centro e la sinistra.
È sufficiente girare con occhio vigile per le strade di una grande città e leggere gli slogan dei diversi candidati alle regionali per rendersene conto: «Con te», «Ti puoi fidare», «La novità dell'esperienza», «Noi scegliamo i migliori», «In poche parole, un'altra regione», «La forza dell'identità», «Uno di voi» e «Parla con me», tanti sms appiccicati su delle facce di gomma mai così anonime e seriali come quelle di oggi.
Ci rendiamo conto che tale disanima può apparire qualunquista, e tuttavia la ritualità della critica non riesce a essere più forte dello sconcerto di queste giornate, più profonda di quegli occhi di plastica che ci guardano stereotipati, ma ancora rapaci. Hanno bisogno di noi - sembrano dirci - del nostro voto, per l'ultima volta fino al 2013.
In realtà non è difficile prevedere che i risultati elettorali non muteranno gli attuali equilibri del quadro politico perché dalle urne usciranno due deboli vincitori all'italiana: il Pdl con più voti pesanti, il Pd con più regioni leggere. Vale a dire due certificati di cattiva, ma robusta costituzione per la qualità della nostra democrazia: gli uni per continuare a governare a vista, gli altri per riconoscersi in vita e attendere pazienti la fine del ciclo berlusconiano.
Nel frattempo, dentro la bolla, è scoppiata ancora una volta l'emergenza corruzione e i più temerari arrivano a vagheggiare l'eterno ritorno di una nuova Tangentopoli, ossia a ragionare con gli occhiali, gli schemi e i rapporti di forza di quasi vent'anni fa. In questa vicenda l'elemento preoccupante di novità rispetto al mese di dicembre risiede nella oggettiva difficoltà in cui appaiono barcamenarsi una figura di mediazione istituzionale come Gianni Letta e un carisma fino a ieri ritenuto una risorsa trasversale agli schieramenti come quello di Guido Bertolaso.
Qualunque sia l'esito penale dell'inchiesta, essa è già lì a dimostrare che non c'è spazio per un altro Berlusconi come ideologo del fare. L'originale è insostituibile e sarà ancora una volta lui a garantire il blocco di granito che cementa l'attuale governo, l'asse Lega-Forzisti. Intanto Giulio Tremonti cresce in silenzio dando rappresentanza a un'Italia che c'è: i risultati elettorali del Veneto e della Lombardia, la competizione interna fra la Lega e il fronte berlusconiano dentro il Pdl diranno molto di più sull'effettiva tenuta dell'attuale maggioranza che non il confronto esterno con l'opposizione. Paradossi nostrani.
Il punto è chiedersi se le condizioni di fondo che avevano portato il latte della nostra democrazia vicino al punto di tracimazione siano venute meno o se invece si stanno radicalizzando nell'ombra. Perché, se non sono venute meno, torneranno a ripresentarsi in forma più acuta e con una politica ancora più debole e screditata di prima. In effetti, è facile pronosticare che il pentolino sul fuoco ricomincerà presto a scottare, ma di statuina ce n'è una sola ed è bene ricordarlo.
miguel.gotor@unito.it