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IL PUNTO / Il caso Bonino nel Lazio: il «principio di legalità» come messaggio al Pd

di Stefano Folli

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26 Febbraio 2010
IL PUNTO
di Stefano Folli

Ha fatto bene Emma Bonino, intervistata da "Repubblica-Tv", a chiarire i termini della relazione con il Partito democratico di Bersani. Non era facile, visto che il suo sciopero della sete a un mese dalle elezioni, volto ad affermare un «principio di legalità» nella raccolta delle firme elettorali, ha creato non pochi malintesi con i vertici della coalizione di centrosinistra.
La candidata governatrice del Lazio ha tirato diritto nella sua battaglia tipicamente radicale («ghandiana e non violenta», come lei la definisce), però ha avuto il buon senso di recepire le critiche e di offrire una spiegazione ai perplessi. Lo ha fatto, appunto, nell'intervista di ieri, dove ha speso parole di rispetto verso Bersani, con il quale esiste un «rapporto di consultazione». Una novità, dopo decenni di fraintedimenti con il Pci, prima, e con i suoi derivati, poi.
L'aspetto interessante della vicenda è che Emma Bonino non pretende di essere quello che non è: ossia una candidata «di sintesi» e di mediazione tra le diverse anime del centrosinistra (è il rimprovero che le hanno mosso Dario Franceschini e Rosy Bindi). Lei continua a essere una militante radicale e al tempo stesso fa della cosiddetta «battaglia per la legalità» una sorta di principio semi-rivoluzionario in grado, nelle intenzioni, di rigenerare il centro-sinistra. Come si capisce, è un'ambizione non da poco. Ecco perché la candidata e i suoi metodi possono piacere o non piacere, però bisogna ammettere che siamo di fronte a un'ipotesi non banale.
Si potrebbe dire che Emma Bonino vuole vincere nel Lazio, sì, ma soprattutto vuole lasciare il segno nell'arcipelago della sinistra, da tempo inerte e privo di idee. È un punto cruciale, se si vuole guardare alla prospettiva che Bersani afferma di voler costruire. Sull'argomento hanno scritto nei giorni scorsi, tra gli altri, Pierluigi Battista sul «Corriere della Sera», invitando il Pd ad abbandonare l'aria di sufficienza con cui mal sopporta una candidatura che pure ha dovuto digerire «obtorto collo»; Furio Colombo sul «Fatto», per dire al centrosinistra di vivere questa occasione come un'opportunità che non si presenterà una seconda volta; e infine Guido Moltedo ieri su «Europa», per sottolineare l'elemento della novità rigeneratrice che riguarderebbe non solo la Bonino, ma anche Vendola in Puglia.
Sotto questo aspetto, lo sciopero della fame e della sete della candidata radicale può essere giudicato, certo, come l'ennesima manifestazione di una mentalità petulante. Oppure può essere visto come un gesto politico carico di simbolismo. E in realtà, richiamare l'intera sinistra alla «legalità» e al rispetto delle regole, nel momento in cui si allarga nel paese la zona grigia di un confuso malaffare, significa mandare un segnale all'elettorato che va al di là degli schieramenti.
L'operazione può riuscire o forse no. Ma non si può ridurre il caso Bonino alla questione, che pure esiste, del voto cattolico. Qui la distinzione è netta sui temi etici di fondo, come ricordano gli esponenti della gerarchia ecclesiastica. Ma esistono anche cattolici che votano pensando ai temi dell'integrazione multietnica e sono sensibili alla «questione morale», come ribadisce la candidata. Nella società liquida la partita è aperta. E il Pd, frastornato e un po' impacciato, dovrà presto decidere se buttarsi nella mischia o restare alla finestra.

26 Febbraio 2010
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