In Italia il 60% dei laureati è donna e solo il 40% uomo. L'Italia batte Regno Unito e Stati Uniti - vale la pena notarlo, poiché è un caso pressoché unico quando parliamo di statistiche di genere: nel Regno Unito le donne laureate sono il 58% contro il 42% degli uomini e negli Stati Uniti il 58,5%, contro il 41,5% degli uomini. In Italia c'erano più donne che uomini laureati già nel 1998 (56% contro il 44% di uomini).
Eppure in Italia ben il 22% delle laureate non lavora, contro il 9% degli uomini. Non solo. Le donne laureate che lavorano sono pagate meno dei loro colleghi maschi. Secondo nostre rielaborazioni sui dati It-Silc 2008, il differenziale salariale di genere è in Italia più alto tra i laureati (34%) che tra le persone con titoli di studio di media inferiore (29%) e media superiore (28%).
Quando si amplifica il divario? Se guardiamo al differenziale salariale di genere per classi d'età, scopriamo che è massimo tra i 35 e i 45 anni.
Questi dati suggeriscono che nel momento critico della carriera lavorativa, tra i 35 e i 45 anni, quando le prospettive di crescita professionale si delineano e concretizzano, le donne non riescono a fare il salto che invece più uomini fanno. Il vantaggio nell'istruzione si perde.
A conferma di questo, le donne sono poco presenti nelle posizioni apicali delle imprese: il 23,3% nel top management delle aziende pubbliche e private (10% se restringiamo l'attenzione alle private) e solo il 6% nei Cda delle società quotate.
Perché? I tempi non sono maturi? Le donne rifuggono dalle posizioni di potere? L'attuale presenza femminile riflette i talenti, gli interessi e le competenze a disposizione? Alle donne mancano la rete di rapporti o il capitale sociale che serve per approdare a posizioni di prestigio?
Siamo certamente in presenza di una combinazione di questi elementi, ognuno dei quali può avere la sua responsabilità. Ma qui c'è un altro elemento sul quale vogliamo soffermarci.
La fase critica della carriera lavorativa coincide molto spesso con una fase critica anche della vita personale, la recente formazione della famiglia, i bambini ancora piccoli. L'Italia ha la fecondità più tardiva, con un'età media al primo parto pari a 31 anni. La maternità si associa a una caduta dell'occupazione femminile e il numero di bambini amplifica l'effetto, in Italia più che altrove: il tasso d'occupazione delle donne senza figli è pari al 66% e scende al 60% per le madri con un figlio e al 53% in presenza di due figli.
Molte donne lasciano il lavoro alla nascita dei figli. Per quelle che rimangono la carriera è spesso rallentata o bloccata. Quando i bambini diventano grandi le difficoltà di conciliazione diminuiscono e le donne potrebbero tornare in corsa, ma spesso è troppo tardi, soprattutto se l'età è avanzata.
Il Financial Times ha lanciato una provocazione: assumete le donne over 50, sono istruite più degli uomini, hanno superato la fase critica del lavoro di cura. Noi rilanciamo: non aspettate troppo a fare figli, soprattutto per le istruite, che rimandano pensando di far seguire la nascita dei figli alla fase più critica della carriera professionale.
Non sembra che l'attesa premi, altrimenti in Italia dovremmo avere molte più donne al vertice che in altri paesi, dove i figli arrivano prima.
MEGLIO DI GB E USA
60% - Le donne laureate
In Italia sessanta laureati su cento sono donne. Il nostro paese precede Regno Unito e Stati Uniti: nel Regno Unito le donne laureate sono il 58% (contro il 42% degli uomini) e negli Usa il 58,5% (contro il 41,5% degli uomini).
31 anni - Età media del primo parto
L'Italia ha la fecondità più tardiva, con un'età media al primo parto di 31 anni. Spesso la maternità si associa a una caduta dell'occupazione femminile e il numero di bambini amplifica l'effetto, in Italia più che altrove: lavora il 66% delle donne senza figli. La percentuale scende al 60% per le madri con un figlio, al 53% per quelle con due figli.
Speciale Le donne motore dell'economia