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STORIE / Il catenaccio di Zuma al mondiale in Sudafrica

di Richard Lapper e William Wallis

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26 Febbraio 2010
Jacob Zuma (Ansa)

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Il suo governo, apparentemente, sta anche cominciando ad affrontare in modo più esplicito e più serio rispetto ai suoi predecessori problematiche come la criminalità, l'Aids, il deficit di competenze e un settore pubblico inefficiente e poco trasparente. I suoi sostenitori dicono che l'approccio affabile e inclusivo del nuovo presidente rappresenta un cambiamento incoraggiante rispetto allo stile distante e verticistico di Thabo Mbeki, il suo predecessore.
Zuma dice che il suo successo più importante è stata la «riconfigurazione dei ministeri, per migliorare l'efficienza». La creazione di un ministero dell'Istruzione di base ha focalizzato l'attenzione sulla necessità di migliorare le competenze linguistiche e matematiche, ad esempio. Le procedure sviluppate da Collins Chabane, il capo di gabinetto del presidente con la responsabilità di monitorare e valutare il rendimento del governo, consentiranno all'esecutivo di misurare i successi dei ministri e dei dicasteri, che in caso di fallimento dovranno risponderne. «In altre parole, abbiamo dato una smossa al governo», dice Zuma.
Nell'ambito di questi sforzi per migliorare i servizi è stato istituito un numero verde, basato in parte sulla presidenza, per incoraggiare la gente a denunciare l'inefficienza o la corruzione a tutti i livelli di governo. «Ora abbiamo un'idea molto chiara dei problemi. La gente parla. Stiamo modificando la macchina e stiamo lavorando per accorciare la distanza fra il momento in cui si scoprono episodi di corruzione e il momento in cui vengono prese delle misure», dice, insistendo sul fatto che le "mele marce" - anche se ministri o sindaci - verranno eliminate.
I detrattori di Zuma però sostengono che in alcuni di questi successi lui c'entra poco. I vincoli al credito introdotti da Mbeki hanno contribuito a proteggere il sistema finanziario locale dalla crisi globale. L'ascesa dell'India e della Cina (l'anno scorso Pechino ha scavalcato la Germania diventando il primo partner commerciale del Sudafrica) e l'impennata della domanda di ferro e carbone in questi due paesi hanno compensato in parte il calo degli ordinativi dall'Europa. In parte è vero, anche se Zuma si è mostrato molto più disponibile nei confronti di Pechino rispetto a Mbeki, che una volta aveva detto che il rapporto in rapida evoluzione fra la Cina e il continente africano rischiava di ricalcare schemi coloniali. Zuma invece afferma che «la Cina viene qui come socio alla pari, dicendo: "Facciamo affari insieme"». Se i paesi africani sapranno giocarsi bene le loro carte, aggiunge, l'interesse della Cina e di altre nazioni emergenti per le risorse naturali e i mercati africani può rappresentare un'opportunità concreta per il continente. «Se i vecchi paesi (le ex potenze coloniali, ndr) non hanno fatto sviluppare i paesi africani, e la Cina viene in Africa ed è pronta a costruire strade, ponti, tutto, che cosa dovrebbero fare i paesi africani)?».
Ma la lentezza delle riforme presta il fianco alle critiche. Zuma è stato sostenuto da un'alleanza larga, prima nella sua lunga battaglia politica con Mbeki e poi nella campagna elettorale dello scorso anno, e questo gli ha reso più difficile esercitare la sua leadership. Invece di escludere categoricamente la nazionalizzazione delle miniere chiesta da Malema, o l'allentamento dei cordoni della borsa e della politica monetaria, come vorrebbero i sindacati, Zuma ha creato ambiguità incoraggiando il "dibattito".
È facile capire le ragioni del nervosismo degli investitori per la mancanza di chiarezza del presidente. Zuma, ad esempio, lascia intendere che la Cosatu, la federazione sindacale di sinistra, svolge quello che è il suo ruolo quando contesta senza peli sulla lingua le politiche macroeconomiche conservatrici. «Rilanciano sempre, è il loro compito», dice alludendo ai leader sindacali nazionali. Quando gli si chiede se propende di più per l'ortodossia perseguita da Gordhan al ministero dell'Economia o per le proposte più radicali della Cosatu, Zuma sembra barcamenarsi in modo precario - e confuso - fra le due tendenze, dicendo che la linea politica viene decisa dall'alleanza, e che lui si limita ad applicarla: «Voi conoscete la politica dell'Anc; io non posso schierarmi con nessuno».
Sminuisce le battaglie ideologiche in corso in seno all'alleanza, e sembra non rendersi conto della confusione che questi diverbi potrebbero creare fra gli investitori. «Io non so che cos'è che provoca problemi con gli investitori. Noi abbiamo una politica molto chiara all'interno del governo e dell'Anc», ma «basta che un iscritto sollevi una questione e tutti prendono quella questione come se fosse una linea politica». La risposta per chiunque abbia dei timori, dice, è di fare più attenzione alle tradizioni dell'Anc e dei suoi alleati. «Per sua stessa natura, storicamente, l'alleanza dibatte in modo dinamico - dice Zuma -. La Lega giovanile è sempre stata molto propositiva ed esplicita, e a volte dà suggerimenti, e gli anziani dicono "Ma che state facendo?". I soci dell'alleanza hanno sempre sollevato problematiche di grande peso. È questo che rende viva e dinamica l'alleanza».
Questo stile consensuale - qualcuno direbbe indulgente - forse aiuta a tenere a bordo i litigiosi alleati di Zuma, ma il meglio che può produrre è un cambiamento lento e pragmatico. Se questo ritmo rilassato potrà soddisfare le aspettative degli elettori che lo hanno portato alla presidenza, è un altro paio di maniche.

© FINANCIAL TIMES
(Traduzione di Fabio Galimberti)

26 Febbraio 2010
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