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MERCATI GLOBALI / Una finanza da mettere in riga

di Marco Onado

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26 gennaio 2010

Povero Obama. Era stato accusato di avere scelto un ministro troppo vicino a Wall Street; era stato accusato di non aver preso ancora nessuna vera decisione difficile in politica interna o estera. Adesso che ha afferrato il toro per le corna e ha seguito i consigli di una personalità al di sopra delle parti (anche perché è alto quasi due metri) come Paul Volcker, è stato sommerso dalle critiche più aspre.
In realtà, la reazione furibonda delle principali banche mondiali dimostra che le proposte colgono nel segno, anche se molto probabilmente sono da mettere a punto sul piano tecnico. Non a caso, premi Nobel come Paul Krugman e Joseph Stiglitz si sono dichiarati sostanzialmente favorevoli. E soprattutto il Financial Stability Forum, cioè l'organismo che cura per conto del G-20 il coordinamento del processo globale, ha dichiarato che la proposta di Obama muove nella direzione giusta per ridurre il moral hazard nel settore finanziario, il termine soave con cui gli economisti indicano la situazione in cui si privatizzano i profitti e si socializzano le perdite.

L'aspetto più controverso riguarda il divieto per le banche che raccolgono depositi di svolgere attività particolarmente rischiose come detenere hedge fund e impegnarsi in trading per conto proprio, cioè costituire posizioni speculative su titoli. È una soluzione drastica che Volcker, contrariamente a quanto sostiene il Corriere della Sera, aveva formulato un anno fa nel Rapporto del Gruppo dei Trenta di cui era presidente, e di cui facevano parte altri autorevoli banchieri centrali come Tommaso Padoa Schioppa (è suo, caso mai il contributo italiano) e Jacob Frenkel. Addirittura era la raccomandazione n.1 (in particolare, il punto b).

Su questa nuova versione della legge Glass-Steagall (quella nata dalla crisi degli anni 30) si è svolto un intenso dibattito e sono stati espressi molti dubbi, anche da parte di chi scrive. Ma non bisogna dimenticare che l'obiettivo della proposta è corretto, almeno per due motivi.
Primo. L'attività di trading proprietario è tecnicamente molto complessa, molto rischiosa e soprattutto poco trasparente, perché per definizione una posizione di carattere speculativo non può essere rivelata per filo e per segno, istante per istante. Sarebbe come chiedere di giocare a poker a carte scoperte. Non c'è quindi nessuna differenza tecnica con l'attività di un hedge fund; anzi le banche, grazie alla garanzia implicita di cui godono, possono indebitarsi ben più di un hedge fund e quindi usare in modo ancora più spregiudicato la leva finanziaria.

Secondo. Come ha detto Krugman, è stata proprio la deriva verso l'attività di carattere speculativo che ha limitato la capacità del sistema finanziario di svolgere la sua funzione fondamentale, che è quella di fornire servizi efficienti e a basso costo all'economia reale. Le banche difendono come tigri ferite l'innovazione finanziaria degli ultimi vent'anni, ma non si chiedono quanta parte di questa sia veramente utile dal punto di vista generale.

Quello che è vero è che sono riuscite ad appropriarsi di una parte crescente (negli Stati Uniti siamo arrivati al 40% del totale) del monte complessivo dei profitti. Ma da che mondo è mondo, un sistema finanziario è efficiente se genera benefici per gli utenti e se sostiene lo sviluppo economico e l'innovazione.

Quando Paul Volcker afferma provocatoriamente che l'unica innovazione degna di questo nome è il bancomat, meriterebbe una risposta nel merito, non di essere ignorato come hanno fatto i banchieri americani che hanno deposto la scorsa settimana alla commissione parlamentare di inchiesta sulla crisi. A sentir loro, va tutto bene così e la crisi è stata solo una sorta di calamità naturale come un terremoto o un'alluvione. Un act of God, come dicono gli inglesi, che è solo la versione più raffinata di "piove governo ladro".

È per questo motivo che l'unica cosa certa sulle soluzioni tecniche da adottare è che queste misure sono ancora da discutere, ma saranno comunque di carattere straordinario. Non è un caso se un paladino del liberismo come l'Economist (ma che ha sempre indicato per tempo gli eccessi speculativi e le bolle finanziarie) propone una tassa straordinaria sulle passività delle banche diverse dai depositi e dunque appoggia la parte di proposta di Obama su questo altro delicato aspetto.

Se c'è un problema, è che la politica si è mossa tardi, quando la crisi finanziaria è passata e quella economica morde ancora. Le banche si sentono nuovamente in grado di dettare l'agenda alla politica e sanno che governi e banche centrali non potranno permettersi ancora per qualche tempo di abbandonare la politica dei tassi d'interesse prossimi allo zero, che consente profitti straordinari proprio all'attività di trading proprietario. Il sostegno del Fsb ha accelerato l'iniziativa della politica europea, che peraltro ha alle spalle interessi divergenti, poiché molte grandi banche (non a caso le prime ad esprimersi negativamente sulla proposta Obama) si dedicano assai più alla finanza che al credito tradizionale ad imprese e famiglie.

Comunque, finalmente qualcosa si muove e da qui al G-20 di giugno si giocherà la battaglia decisiva: mettersi d'accordo sugli strumenti tecnici da utilizzare sarà tutt'altro che facile e il rischio che la montagna della riforma finanziaria produca nulla più che un topolino è molto alto. Ma l'alternativa è lasciare le cose come stanno e spalancare la strada ad altri eccessi della finanza.

26 gennaio 2010
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