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CRISI DI UN PROGETTO
C'era una volta il Partito democratico

di Stefano Folli

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26 gennaio 2010

Piove sul bagnato, come si dice in questi casi. Per il Partito democratico la pioggia scende a Bologna non meno che a Bari. Non c'è un nesso concreto fra il trionfo di Vendola in Puglia, con la sconfitta politica del vertice democratico, e le dimissioni del sindaco Delbono nella città che è stata, e in parte è ancora, il cuore del potere «rosso». Eppure il legame esiste nella semplice successione di eventi pur diversi tra loro; esiste soprattutto nella percezione dell'opinione pubblica.
È come se tutti noi assistessimo da spettatori un po' smarriti al declino irresistibile della principale forza d'opposizione. Là errori politici, qui un sospetto di immoralità; ovunque l'impressione di un Partito democratico talmente impigliato nei suoi problemi, nella sua crisi di idee e di prospettiva, da riuscire ad avere torto anche quando ha ragione. Come è successo in Puglia, dove era giusta l'intuizione di sperimentare la nuova alleanza tra la sinistra "riformista" di D'Alema e il centro "moderato" di Casini.

Ma questo schema declinato in modo burocratico e algido, come se fossimo ancora nell'Italia degli anni Sessanta, in cui i partiti contavano e decidevano a Roma, ha dato l'idea di una totale sconnessione fra i desideri e la realtà. Il governatore Vendola ha dimostrato di controllare il suo territorio e ha sfruttato con abilità lo strumento delle «primarie». I suoi avversari si sono limitati a sprofondare nelle sabbie mobili. Del resto, proprio le primarie possono piacere o no come arma democratica, ma quello che non si può fare è mostrarsi incerti e contraddittori. Fino a subirle dopo averle rifiutate: come è successo con il prolungato suicidio da Emiliano a Boccia.
E in fondo il gruppo dirigente del Pd oggi deve ringraziare Casini. Appoggiando Adriana Poli Bortone, l'Udc sceglie di accentuare la frattura nel centrodestra, bloccandone la riscossa elettorale: per cui diventa abbastanza probabile che Vendola in marzo ottenga la rielezione. In altre parole, una regione che si pensava destinata al Pdl, salvo un solido patto tra D'Alema e Casini (precursore di future alleanze nazionali), rischia di rappresentare il trionfo della sinistra "alternativa".

Quella sinistra ritenuta ormai fuori dalla storia e che invece torna in campo grazie al personaggio Vendola che ha saputo reinterpretarla e aggiornarla.
Eppure l'intuizione era corretta perché il Pd, se mai vorrà tornare al governo, dovrà ridefinire le sue alleanze in una chiave di centro-sinistra, al netto dei diversi populismi. Il fatto è che queste operazioni hanno bisogno di camminare sulle gambe degli uomini e non solo di poggiare su programmi astratti. Hanno bisogno di toccare le coscienze, magari di affascinare le menti e di non apparire la mera copertura di accordi di potere.

Il Pd non riesce a creare alcuna magia e nemmeno a convincere sul piano razionale. I voti ci sarebbero ancora: i sondaggi accreditano Bersani di un punteggio intorno al 29 per cento, lontano ma non troppo da quel 33 per cento che costò la leadership a Veltroni. Il punto è che il partito assomiglia a un tronco tuttora imponente, ma corroso al suo interno e quindi fragile. L'imminenza del voto regionale serve a rinviare lo scontro fra le correnti. Ma non risolve alcun problema.

Si prenda il caso di Bologna. In altri tempi lo scandalo che colpisce il sindaco (peraltro individuato con il meccanismo delle primarie) sarebbe stato impensabile. Oggi le dimissioni imposte a Delbono sono l'estremo tentativo di evitare danni maggiori. Ma come sarà gestita la crisi sul piano politico? Si svolgeranno naturalmente altre primarie per scegliere un nome da opporre al candidato di una destra agguerrita. E va da sé che Di Pietro cercherà di imporre un suo uomo, sull'onda della «questione morale». Un sindaco dell'Italia dei Valori a Bologna? Non è impensabile e sarebbe un altro tassello sulla via dello snaturamento del partito e della coalizione.

Ricapitolando. In Puglia si cercava l'alleanza con il centrista Casini e abbiamo avuto la vittoria di Vendola, esponente dell'estrema sinistra. A Bologna il dopo-Delbono potrebbe accentuare l'impronta dipietresca e populista sul Pd. A Roma la candidatura di Emma Bonino, esponente radicale, è innovativa, ma richiede a Bersani una gestione attenta e non meramente passiva, viste le difficoltà con il mondo cattolico. In Umbria, nel fulcro della «repubblica degli Appennini», sono in corso scaramucce incomprensibili.

Il sistema politico italiano non può permettersi un bipolarismo così asimmetrico, in cui l'opposizione del Pd è fin troppo debole e ansimante. Invece del consolidamento di un nuovo partito capace di interpretare la realtà del paese meglio di Berlusconi, abbiamo la lenta dissoluzione di una forza che sembra incapace di guardare ad altro che non sia il passato. Prova ne sia che sono davvero rari i dibattiti in cui il gruppo dirigente del Pd riesce a interloquire con la maggioranza. Il più delle volte il confronto si apre e si risolve all'interno del centrodestra, come nel caso della giustizia. Gianfranco Fini piace tanto a sinistra anche perchè solleva con efficacia temi che l'opposizione non è in grado di imporre da sola. Ma alla lunga questa situazione è paradossale e fa male all'equilibrio democratico.

  CONTINUA ...»

26 gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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