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Pci e tensioni sociali: così Kissinger decise di finanziare Roma

di Walter Riolfi

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26 marzo 2010

«Hello Ben, sono Barack. Ti cercavo per capire se puoi arrangiare una linea di credito alla Grecia. Oppure convincere tedeschi e francesi a dare una mano ad Atene». Questa conversazione telefonica tra il presidente degli Stati Uniti e Ben Bernanke, presidente della Fed, è ovviamente falsa. Vera è invece quella del lontano luglio 1974 (pubblicata ieri dal Sole 24 Ore) nella quale il segretario di stato Henry Kissinger aveva sollecitato Arthur Burns, presidente della Federal Reserve, affinché fosse concesso un grosso prestito all'Italia: «Perché non posso permettere che finisca nello sciacquone», aveva esordito.

Tuttavia la falsa telefonata tra Obama e Bernanke potrebbe avere qualcosa di verosimile. In ogni caso è fuori discussione che la Casa Bianca, o meglio il Tesoro americano, stia seguendo con estrema attenzione la crisi del debito greco e le ripercussioni che sta avendo su alcuni paesi europei e soprattutto sull'euro. Sarebbe irragionevole escludere che sulla decisione presa ieri dai governi di Francia e Germania di concedere aiuti per 22 miliardi alla Grecia, con il coinvolgimento del Fondo monetario, non ci sia stato anche lo zampino della Fed.

«In passato gli interventi economici degli Stati Uniti verso l'Europa sono stati assai frequenti e in teoria sono possibili ancora oggi», osserva Franco Spinelli, docente di crisi finanziarie all'università di Brescia. Ma le condizioni economiche e soprattutto politiche che avevano caratterizzato gli anni del secondo dopoguerra sono adesso assai mutate. È cambiato il ruolo dell'America e, dopo l'ultima recessione, anche le finanze del paese non sono più quelle di 10 anni fa. «Se è ipotizzabile che la Fed abbia studiato qualche forma di aiuto alla Grecia, è anche vero che adesso a Washington hanno altro a cui pensare», aggiunge Spinelli.

I tempi sono cambiati. Nel 1974 L'Italia ricevette quasi 6 miliardi di dollari, parte dal Fondo monetario, parte dalla Comunità europea e parte dalla Bundesbank, proprio grazie all'intervento di Kissinger. Lo preoccupavano il nostro grosso deficit commerciale, l'inflazione al 20%, la forte svalutazione della lira e un debito pubblico che cominciava a crescere sempre più rapidamente rispetto al Pil. Ma lo preoccupavano ancor più le condizioni politiche dell'Italia: il terrorismo, gli scioperi e le proteste sociali in buona parte generate proprio dalle misure restrittive di politica economico-finanziaria che ci erano state imposte dai partner europei, specie dal governo tedesco, come condizioni per ottenere i prestiti. Ma ad allarmare Kissinger era soprattutto la possibilità che una crisi così complessa potesse favorire l'avanzata del Pci.

«La telefonata intercorsa tra Kissinger e Burns rivela la particolare attenzione degli Stati Uniti verso l'Italia», spiega Giulio Sapelli, professore di storia economica all'università di Milano. L'occhio di riguardo verso Roma è confermato anche dal fatto che in quegli stessi anni Kissinger, come ricorda Sapelli, non fece quasi nulla per fermare la svolta dittatoriale e con venature comuniste in Portogallo. Il ruolo dell'Italia era diverso. «Ma se c'è una nazione adesso che sta a cuore agli Usa non è la Grecia. È la Turchia», aggiunge Sapelli, ricordando il ruolo di Ankara nell'Alleanza atlantica e nelle relazioni militari con Israele. E potremmo aggiungere anche per l'equilibrio che lo stato è riuscito a mantenere nonostante le pressioni del fondamentalismo islamico.

«La Grecia non è destabilizzante per l'equilibrio della politica estera americana», ammette Spinelli. Ma probabilmente la crisi greca e il possibile contagio ad altri paesi del Mediterraneo sono destabilizzanti sui rapporti di cambio. E questo è il vero problema per gli Usa e la miglior motivazione che spingerebbe Washington a intervenire. L'euro s'è svalutato di quasi il 12% rispetto al dollaro, passando da 1,51 di fine novembre a 1,33 di ieri. Una valuta forte è esattamente l'opposto di quanto auspicano la Casa Bianca e la Fed, al di là della retorica delle dichiarazioni ufficiali: perché rende meno competitivi i prodotti americani e fa ancora più preoccupante l'entità del deficit commerciale e del debito pubblico del paese. Il guaio è che anche la Bce e gli stati europei perseguono la medesima politica di una valuta debole e gli interessi tra le due sponde dell'Atlantico appaiono non facilmente conciliabili.

Come fa notare Spinelli, Bce e Fed si parlano tutti i giorni e sicuramente gli argomenti dell'euro e della crisi sui debiti sovrani sono al centro delle discussioni. Ma un intervento degli Usa, per quanto indiretto e condotto attraverso il Fondo monetario, non sarebbe bene accetto di questi tempi. Forse proprio per questo l'eventuale ruolo dell'Fmi nella crisi greca è stato giudicato ieri «molto, molto brutto» dal presidente della Bce.

26 marzo 2010
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