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«La concorrenza cinese e indiana – aggiunge Grasso - copia i nostri modelli da anni e ha tagliato il business del 30-40%. Ma tanto non importa a nessuno: tempo fa ci hanno accorpati ai bustai e dopo all'industria del ricamo, quelli che producono chilometri di tessuti. Insomma non esistiamo in nessuna statistica». Eppure nel mezzanino di un quartiere semicentrale di Milano la dozzina di addetti di Grasso continua pazientemente a ricamare e a creare modelli. «L'artigianato come il nostro - conclude il maestro del ricamo – non ha incentivi, non ha sgravi nè cassa integrazione, eppure siamo un pezzo del made in Italy. Siamo realistici: rischiamo l'estinzione».
Da un laboratorio artigianale a un altro. Quello della Fazioli di Sacile, nel pordenonese, che produce pianoforti a coda. Pochi pezzi per la verità: quest'anno 110 contro i 115 del 2008. Ma di grande livello, l'arma che ha consentito, prima, all'outsider italiano di farsi largo tra i big stranieri e, poi, salvarsi dall'invasione dei prodotti a basso prezzo. «A livello mondiale c'è un calo del mercato del 10% - osserva Paolo Fazioli, 65 anni, musicofilo e fondatore - come risultante di vari trend: il mercato americano in caduta del 50% e quello asiatico in forte crescita». Fino a qualche anno fa il mercato a stelle e strisce era il principale per l'azienda dell'ingegnere romano trapiantato in Friuli. «Ora però sono stanco del mercato statunitense – sbotta Fazioli –: sto pensando seriamente di abbandonarlo. Non ha più senso investire: ci sono difficoltà di relazioni e problemi crescenti nella riscossione dei crediti. Cina, Giappone, Australia, le nostre aree di crescita, sono più affidabili ma ci difendiamo anche in Europa dove la Germania è il nostro principale sbocco». Quest'anno la società, che ha 38 addetti, dovrebbe mantenere i 5 milioni di fatturato del 2008: un buon esercizio chiusosi con un utile netto del 10% dei ricavi.
Sacile è nel bel mezzo del distretto del legno-mobile che conta su 500 imprese specializzate. «Selezioniamo i giovani in questo distretto - spiega Fazioli - e li formiamo all'interno, all'attenzione maniacale per il dettaglio. Poi, di solito, non va via nessuno». I maestri artigiani selezionano il legno più adatto per ciascuna parte (faggio, acero o mogano), intagliano le parti della cassa armonica, producono le corde basse, incollano il feltro sulle parti lignee dei martelletti, posizionano i contrappesi di piombo nei tasti, carteggiano e lucidano a mano. Ma non è finita: lo strumento è finito ma è "arrabbiato", va plasmato il suono. Nella camera anecoica, di notte, il pianista pazzo (una macchina) suona il piano esercitando l'identica pressione su ogni tasto e poi, al mattino, gli artigiani regolano e intonano. Una lunga preparazione dello strumento musicale che dovrà colpire all'orecchio e al cuore il professionista, ma anche il musicofilo, un mondo fortemente legato alla tradizione e ai marchi secolari di pianoforti, ma non indifferente alle novità.
