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NO COMMENT / Un Risanamento che è ancora tutto da inventare

di Fabio Tamburini

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26 settembre 2009

La durezza delle parole scelte dai pubblici ministeri di Milano per bocciare il piano di salvataggio presentato dalle banche per evitare il crollo definitivo di Risanamento colpisce. Nelle dieci pagine di memoria dei magistrati, nella sostanza, il piano viene bollato con un marchio infamante: essere molto simile a quello presentato nell'aprile 2008, che ha avuto esiti disastrosi. Tanto da far dubitare che possa raggiungere perfino l'obiettivo minimo di contrastare l'insolvenza a breve. La parola passa al Tribunale fallimentare che, a metà ottobre, deciderà nel merito.
Le vicende di Risanamento vanno seguite con attenzione per almeno un paio di motivi. Il primo riguarda la vicenda specifica. Certo si tratta di un gruppo immobiliare che ha poche decine di dipendenti. Dunque, in caso di fallimento, non si manifestano problemi occupazionali drammatici. Ma sarebbe comunque un grande crack, destinato ad avere un impatto drammatico sull'intero settore. La seconda ragione consiste nel fatto che la banca più esposta è Intesa Sanpaolo, da sempre in prima linea nel sostegno al gruppo. Proprio Intesa Sanpaolo attraversa un momento delicato. Sia per la definizione dei rapporti di forza tra gli azionisti, con il presidente della Compagnia San Paolo, Angelo Benessia, determinato nel far pesare il ruolo di azionista numero uno dell'istituto. Sia sul difficile fronte dei rapporti con il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti.

Nella parte iniziale del documento con cui i pm affondano il piano presentato dalle banche l'affermazione che la manovra finanziaria di salvataggio comporta un impegno di quasi 800 milioni viene respinta utilizzando due avverbi: dire ciò, scrivono i pm, significa descriverla «confusamente» e «pomposamente». La realtà, sempre secondo i magistrati, è ben più povera in quanto l'aumento di capitale previsto, cioè la liquidità che entrerebbe nelle casse aziendali, è di 130 milioni. Troppo poco considerando il rapido peggioramento dei conti, documentato nelle 21 pagine della perizia tecnica allegata alla memoria. Il confronto è tra l'andamento dei conti nei primi sei mesi dell'anno e la fotografia a fine 2008. Per quanto riguarda Risanamento spa le passività correnti passano da 398 a 786 milioni, con ricavi irrisori e liquidità insufficiente, definita nella quasi totalità indisponibile. Pesantemente negativi anche i numeri consolidati: il patrimonio netto passa da +115 milioni a -60 milioni, le perdite superano i 170 milioni, le passività correnti salgono a 2 miliardi, la poca liquidità è indisponibile.

Che si tratti di una società bloccata è fuori discussione. Il problema è un altro. Le banche creditrici hanno presentato un piano che oggi scongiura il rischio d'insolvenza tramite un aumento di capitale, un prestito convertendo da 350 milioni, garanzie sul prestito obbligazionario in caso di default. E tanto basta. In futuro si vedrà. Se il progetto industriale e finanziario funziona tutto andrà per il meglio. In caso contrario le banche dovranno tirar fuori altri soldi oppure sarà fallimento. Una tesi a cui i pm ribattono che il piano non è credibile e che, in ogni caso, non ci sono le condizioni per la continuità aziendale. Ecco perché i conti devono essere fatti a valori attuali di liquidazione e non in base al valore futuro degli asset. Un'affermazione che non lascia scampo in quanto il salvataggio di Risanamento passa inevitabilmente dalla valorizzazione dalle due operazioni rimaste incomplete: quelle delle aree di Santa Giulia e Sesto San Giovanni, nella periferia milanese.

26 settembre 2009
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