Di strada ne ha fatta l'Italia da quando ha messo le cinture di sicurezza. Più cautele a carico di chi va in auto e in moto hanno indubbiamente ridotto incidenti e mortalità, e il rapporto costi benefici si è tradotto in un guadagno per tutti. Ora però ci sembra che il nuovo codice della strada all'esame del Senato rasenti il ciglio del politically correct a oltranza, dimensione che può facilmente sconfinare nel ridicolo. D'accordo le cinture sulle minicar, ma il casco per i ciclisti?
Chiariamo: noi saremmo dell'idea che in un regime di libera concorrenza (e di assicurazioni meno esose) spetterebbe al ciclista fissare un prezzo alla propria salute decidendo se assicurarsi o no contro accidenti a sé e ad altri. Ma mercato a parte, ci pare che andare sui pedali con il casco in testa possa essere la priorità solo a due condizioni. Prima: avere strade lisce come un panno da biliardo. Seconda: avere piste ciclabili in tutti i centri sopra i 20mila abitanti. Altrimenti obbligare al casco è una forma di sussidiarietà che dispensa l'ente locale dai suoi compiti e grava solo sulle tasche del cittadino. Il tutto vestito di paternalismo ipocrita.