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Tremonti e la regia del kolossal «Italia 2010»

di Guido Tabellini e Giorgio Barba Navaretti

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Martedí 27 Aprile 2010
Tremonti e la regia del kolossal «Italia 2010»

È urgente tornare a crescere, anche se l'Italia è prospera e ricca di eccellenze. Il problema non è cosa fare: sappiamo da tempo quali sono le riforme necessarie per uscire dalla stagnazione. La vera sfida è attuare un'incisiva agenda di interventi. Mettere le traversine alle rotaie, come ha scritto Gianni Riotta (Il Sole 24 Ore del 13 aprile scorso). Queste sono le principali conclusioni del dibattito aperto dal nostro editoriale del 2 aprile e ribadite nel convegno di Confindustria a Parma.
È ora di passare dalle parole ai fatti, impostando una vera e propria "agenda per la crescita" in cui siano indicati i contenuti e i tempi delle riforme prioritarie. Il governo dovrebbe innanzitutto dichiarare che la crescita del reddito sarà il suo principale obiettivo di politica economica nella parte restante della legislatura. In secondo luogo, dovrebbe definire una road map di riforme, come anche indicato da Confindustria a Parma, con tempi di attuazione e tappe intermedie. Gli obiettivi di crescita e la road map costituirebbero un quadro di riferimento per valutare proposte politiche alternative. Ogni provvedimento andrebbe valutato alla luce del suo impatto sulla crescita. Ciò consentirebbe, ad esempio, di mettere in evidenza come interventi tipo il pacchetto incentivi all'industria abbiano effetti limitati e solo nell'immediato, invece di favorire lo sviluppo di lungo periodo.

L'"agenda per la crescita" dovrebbe avere come linea guida l'obiettivo di migliorare l'allocazione delle risorse, favorendo l'afflusso di denaro, investimenti, sforzi verso le attività più produttive. Questo implica toccare trasversalmente moltissimi aspetti di politica economica: dalle liberalizzazioni nei servizi, al mercato del lavoro, al risparmio, agli investimenti pubblici, all'istruzione e ricerca. Qualunque decisione su questi tavoli dovrebbe essere coerente con il principio già ricordato nel nostro precedente articolo: cosa posso fare per dirigere le risorse verso chi può farne l'uso migliore?
Un esempio è la riforma dell'università attualmente in parlamento. Nella sua impostazione fortemente orientata al merito, la riforma va nella direzione di favorire la crescita.

Ma se nell'iter parlamentare prevarranno emendamenti volti a tutelare interessi costituiti e ad allentare il legame tra promozione e merito, questi aiuteranno a mantenere il paese nella stagnazione.
Uno dei primi punti nell'"agenda per la crescita" dovrebbe sicuramente essere la riforma fiscale, cantiere che Giulio Tremonti ha dichiarato di voler aprire al più presto. Come ha scritto Carlo De Benedetti sul Sole 24 Ore e sul Foglio, il peso delle imposte sul costo del lavoro è uno dei principali ostacoli da rimuovere. Ciò può essere fatto agendo su tre leve: innanzitutto, un controllo più attento sulla spesa pubblica, a partire dall'innalzamento dell'età pensionabile. È sorprendente che vi sia chi, come Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera, continua a ritenere ragionevole un sistema che prevede un'età pensionabile per le donne a 60 anni, quando la loro speranza di vita oggi è di quasi 85 anni. La seconda leva è la lotta all'evasione fiscale. Se si vuole fare sul serio, questo vuol dire investire in un progetto credibile che sfrutti le potenzialità delle nuove tecnologie informatiche, integrando le diverse banche dati già disponibili sui patrimoni finanziari e immobiliari (si veda al riguardo quanto scritto recentemente su queste colonne insieme ad Angelo Provasoli).

In terzo luogo, occorre spostare il prelievo dal lavoro al consumo (o più prosaicamente "dalle persone alle cose"). Abbattere l'Irap finanziando la perdita di gettito con un parziale aumento dell'Iva consentirebbe di riacquistare competitività. Alleggerisce un carico fiscale che è solo sulle spalle dei produttori italiani per spostarlo in parte anche sui produttori stranieri che esportano nel nostro paese. Anche l'attuazione del federalismo fiscale può essere un'occasione importante, purché avvicini davvero la responsabilità di chi spende e di chi tassa.

Le misure necessarie a utilizzare meglio le risorse del paese danno benefici di lungo periodo, a fronte però di possibili costi nel breve. Ma questa non può essere una scusa per stare fermi. Anzi, più tardano le riforme, più diventa difficile farle, perché, come ha scritto Luca Paolazzi, la stagnazione economica incoraggia la difesa di interessi particolari. Per questa ragione l'"agenda per la crescita" deve avere un orizzonte lungo, che vada oltre le prossime scadenze elettorali, e riflettere anche su adeguati meccanismi compensativi, come hanno sostenuto Francesco Daveri e Pietro Reichlin.

In un contesto nazionale di semi-stagnazione economica che dura da oltre un decennio, vi è poi chi cerca conforto in alcuni dati sulle esportazioni nazionali, o sulla consistenza del nostro risparmio privato. Ma il punto non sono i talenti degli imprenditori italiani, né la qualità delle nostre imprese, né i risparmi accantonati dalle famiglie pensando al futuro dei figli. Il punto è che tutto ciò è drammaticamente insufficiente. Non c'è dubbio che, nonostante i molti ostacoli del sistema paese, numerose imprese italiane riescano comunque a essere leader di mercato in diversi settori; ed è probabilmente vero che una parte del sistema manifatturiero sia riuscito a ristrutturarsi negli anni immediatamente precedenti alla crisi. Tuttavia, l'eccellenza in alcuni comparti dell'export non basta a trainare la crescita aggregata: come ha ricordato Sergio De Nardis, l'83% delle nostre imprese manifatturiere (incluse quelle con meno di 10 dipendenti) non ha scambi con l'estero. Inoltre, la dinamica della produttività rimane deludente anche con riferimento al solo settore manifatturiero. Il dibattito politico italiano ha già una tendenza spontanea a concentrarsi sulle questioni sbagliate. È bene evitare di offrire alibi per altre distrazioni.

  CONTINUA ...»

Martedí 27 Aprile 2010
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