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GIORNATA DELLA MEMORIA / Cultura ebraica contro l'orrore

di Anna Foa

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27 Gennaio 2010

Cresce di anno in anno il numero delle iniziative volte a celebrare la giornata della Memoria, giunta quest'anno alla decima edizione. E a questo proliferare di celebrazioni si accompagna anche un crescendo di riflessioni e di dubbi, volti non certo a mettere in discussione il valore e la necessità della memoria, ma a valutarne le modalità, i fini e non ultimo anche il rischio di una sua sterilizzazione, tale da renderla sempre più rituale e sempre meno in grado di accogliere le sollecitazioni e le domande dell'oggi. Domande che hanno alle spalle nuovi genocidi, nuovi razzismi, nuove persecuzioni dell'altro. Come far loro spazio in questa costruzione memoriale sempre più fossilizzata?
In effetti, la memoria della Shoah sta diventando un oggetto da venerare, non più da elaborare. A una memoria in via di costruzione – e basata sul fenomeno, inedito nella storia, delle testimonianze, in quella che una storica francese, Annette Wieviorka, ha chiamato l'era dei testimoni – si è sostituita negli ultimi anni una memoria in qualche modo definita, istituzionalizzata.
In questo passaggio, questa memoria si è allargata dall'essere una memoria essenzialmente ebraica al divenire una memoria sociale, condivisa. E questo è il maggiore merito di questa trasformazione. Molti altri gli svantaggi, dall'approssimazione di molte delle iniziative, alla sostituzione del rigore della conoscenza con la celebrazione e la moda.
Finora, a parte le critiche venute da chi vuole negare spazio e legittimità alla memoria della Shoah, le domande e i dubbi sono arrivati principalmente dalle istituzioni ebraiche. Tutte coinvolte al massimo grado nella partecipazione a questa giornata, ma anche in grado, proprio perché impegnate nell'elaborazione della memoria da molto prima che essa fosse istituzionalizzata, di valutare le differenze che l'istituzione della giornata ha portato nel rapporto con il mondo non ebraico. Tenendo conto soprattutto delle generazioni più giovani, che non possono non sentire questo passato distante dalla loro vita e dai loro problemi di oggi. E a cui, non dimentichiamolo, i siti web propongono in maniera assillante discorsi negazionisti o apertamente antisemiti.
Per il mondo ebraico, però, il rischio non è soltanto quello dell'imbalsamazione della memoria, ma anche quello di trasmettere un'immagine passiva degli ebrei, di mostrarli solo sotto l'aspetto delle vittime. La storia ebraica è stata anche una storia di creatività, di cultura, di rapporto con l'esterno, di comune elaborazione di civiltà.
All'immagine che vede negli ebrei solo masse di cadaveri ammonticchiati nei lager, il mondo ebraico ha così risposto attraverso una riproposizione all'esterno delle sue espressioni culturali e della sua storia, a sua volta affidata all'istituzione di giornate celebrative quali la giornata della cultura ebraica, quella della letteratura ebraica eccetera.
Ha risposto, insomma, separando nettamente la vita degli ebrei dalla loro morte. In queste ricorrenze, gli ebrei cercano di far conoscere la loro storia, rivolgendosi al mondo dei non ebrei, aprendogli le loro sinagoghe, i loro musei, offrendogli la lettura dei loro scrittori e dei loro poeti. Nella giornata della Memoria, invece, si ricorda una storia che è storia di tutti, come di tutti è il ricordo.
Essa non è la celebrazione di un mondo ebraico ostinato a celebrare il suo lutto, ma memoria di una frattura nella storia del secolo scorso e dell'intera umanità. Non sono sicura che questa separazione fra vita e morte sia giusta e sia utile alla comprensione.
Insomma, come evitare tutti questi scogli, come navigare sicuri tra il rischio di rendere troppo particolare il ricordo, quello di renderlo troppo monumentale, e quello di ricordare solo l'antisemitismo e non gli ebrei in carne e ossa, uomini e donne reali, non meri simboli dell'orrore subìto? Uomini e donne che hanno saputo far poesia nella morte, cantare nell'orrore, essere insomma umani in mezzo allo scatenarsi dell'inumanità.
Il compito è difficile, e lo diventerà sempre di più mano a mano che la memoria dei protagonisti e dei loro immediati discendenti si affievolirà. Eppure, se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. Lo diceva Primo Levi, e forse la strada da percorrere è semplicemente quella che lui ha tracciato in queste parole illuminanti: conoscere.

27 Gennaio 2010
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