«Io protezionista? Andiamo, che cosa è diventata l'America dopo il disastro del 2008? E come vogliamo definire le politiche agricole della Francia di Sarkozy? Nel 1980 io già esportavo: a Giakarta ogni tre scooter uno era un Bajaj».
Rahul Bajaj, il pioniere indiano delle due e delle tre ruote, in effetti è un protezionista. Nel 1992 fu uno dei promotori del "Club di Bombay": 14 industriali preoccupati che l'aprirsi dell'India li avrebbe lasciati in balia di un mercato più forte del loro. Intimamente Bajaj è protezionista anche oggi che l'India acquisisce compagnie all'estero ed è uno dei vincitori della globalizzazione. Quello che conta non è tuttavia quanto ancora sia protezionista, se lo sia più o meno degli americani, ma che Bajaj a 71 anni, come i suoi nipoti all'età di 20, vedano il mondo dall'ottica indiana, con un punto di vista asiatico e una prospettiva di un potere mondiale «che da Ovest va verso Est, da Nord a Sud - dice -. Soprattutto verso l'Asia: noi, la Cina, il Sud-Est asiatico». Negli anni passati il World Economic Forum aveva annotato questa tendenza. Ora, dopo la grande crisi, è parte fissa del panorama di Davos: come la neve.
«Se quest'anno - giura Bajaj - un primo ministro o un ceo riprovano a darci una lezione sul pensiero occidentale riguardo a mercato libero e deregulation, mi metterò a ridere. Ma non credo lo faranno». Qui a Davos la narrativa del capitalismo è quasi più la loro che la nostra. All'anonimato genealogico dei ceo anglosassoni, l'India contrappone il family business: il 95% dell'impresa privata è a conduzione familiare. I quasi tre milioni di moto e scooter che Bajaj produce non sono tecnologicamente i più avanzati, «ma vanno bene per i mercati asiatici, vanno bene per l'India dove il Pil pro-capite è sotto i mille dollari l'anno», dice Bajaj, interrompendosi per salutare praticamente tutti coloro che entrano ed escono dall'albergo della delegazione indiana a Davos: da anni la più numerosa al Forum.
«So che il Pil pro-capite americano è di 44mila dollari; so che vi stupisce la crescita indiana del 7,5%, che forse nel 2011 sarà del 9,2 se Nouriel Roubini smette di fare il gufo; so che la crescita italiana dell'1% vi può bastare, data la sproporzione di ricchezza a vostro favore. Quello che affermo è che le regole del gioco ora sono più equilibrate. Al Club di Bombay non eravamo protezionisti, volevamo solo che il campo di gioco fosse livellato, che non pendesse a favore degli americani o degli europei e nemmeno dalla nostra parte. Ora lo è, e giochiamo quasi alla pari».
Per Bajaj, signore di un gruppo familiare con 26 imprese, più che un business le due ruote sono una parabola: un modo indiano di rappresentare la propria marcia verso la ricchezza. «L'auto verrà quando il reddito medio della gente sarà di 3mila dollari. Già le tre ruote, i rikshow, stanno scomparendo. Ma per almeno 20 anni le moto resteranno il mezzo di trasporto più diffuso in India».