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Ai paracadute del lavoro serve subito una riforma

di Luigi Guiso

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27 Novembre 2009
Job Cafe' ufficio collocamento a Milano (Fotogramma)

Ormai è certo: la ripresa sarà lenta e per questo porterà solo cattive notizie per l'occupazione. Il rischio che oggi si corre è di ripetere l'esperienza della recessione del 1992-93 quando il tasso di disoccupazione continuò ad aumentare per 5 anni consecutivi fino al 1998, toccando l'11% nonostante la produzione fosse in ripresa. E ci vollero altri sei anni per riportare il tasso di disoccupazione al livello pre-recessione. La ripetizione oggi può essere solo in peggio.
L'Italia parte da più lontano rispetto ad altri paesi europei, che hanno investito di più in politiche pubbliche e che crescevano mediamente di più prima della crisi. Per recuperare occorre una coraggiosa azione riformista su più versanti, dalla politica fiscale e industriale a quella del welfare che possano contribuire a riportare l'economia su un sentiero di crescita più sostenuta.
Ma la prospettiva di un lungo ciclo di disoccupazione ci dice che tra le emergenze maggiori, in questa fase, c'è quella degli ammortizzatori sociali: l'Italia stanzia lo 0,5% del Pil contro l'1,6% della media Ue. Gli strumenti attuali, da poco estesi con norme in deroga e utilizzando i fondi in un primo tempo destinati al Sud, restano frammentari e distinti per settori, grandezza d'impresa, tipologia di contratto. Un coacervo di istituti disomogenei che crea situazioni di squilibrio, difficoltà di monitoraggio del loro utilizzo e disparità tra chi è nel mercato del lavoro tra l'altro a fronte di una copertura limitata. Restano fuori dal sistema delle protezioni, senza una fondata ragione, molti lavoratori irregolari: 1,6 milioni di addetti secondo le stime della Banca d'Italia.
I provvedimenti adottati dal governo durante la fase più acuta della crisi hanno attutito l'impatto della prima ondata della recessione sulle fasce di lavoratori più esposte. Anche se molte situazioni si sono complicate perché non c'è stato il coordinamento tra indirizzo nazionale e applicazioni regionali secondo un ben inquietante assaggio di federalismo inefficiente. Ora quella fase ha esaurito i suoi effetti e la sua funzione – sopperire alla mancanza di un sistema organico di ammortizzatori sociali – per guadagnare il tempo necessario per disegnare una riforma compiuta e recuperare le risorse finanziarie per vararla. Ben venga allora l'idea, già annunciata, di destinare i fondi dello scudo fiscale a finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali: da un male può talvolta nascere un bene.
Ma per questo occorre che il governo riveda la propria agenda e riporti al centro del dibattito il Libro bianco sugli ammortizzatori sociali presentato lo scorso anno dal ministero del Lavoro e fondato su due pilastri: uno pubblico, analogo a un sussidio di disoccupazione, e l'altro privato ma incoraggiato con un sistema di incentivi fiscali. Il tempo a disposizione è limitato ed è difficile pensare che si possa lasciare nell'incertezza tutti quelli che nei mesi a venire si troveranno senza un lavoro. Non è desiderabile che essi dipendano dalle decisioni discrezionali del governo sul se, quanto, quando e per quanto tempo otterranno una qualche forma di aiuto. Questa dipendenza alimenta e amplifica solo l'incertezza, già estrema, che i lavoratori, anche quelli oggi occupati, affrontano e che, rallentandone la domanda, costituisce oggi uno dei fatori di freno per la ripresa.

27 Novembre 2009
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