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MERCATI FINANZIARI / La via cinese per scalzare il dollaro

di Barry Eichengreen

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27 Novembre 2009

La Cina sta spingendo molto per incoraggiare un maggior uso della sua valuta, il renminbi, negli scambi internazionali: ha un accordo con il Brasile per agevolare l'uso delle rispettive monete nelle transazioni commerciali bilaterali; ha firmato accordi di swap in renminbi con Argentina, Bielorussia, Hong Kong, Indonesia, Corea del Sud e Malaysia; l'estate scorsa ha esteso gli accordi transattivi in renminbi fra Hong Kong e cinque città della Cina continentale, e ha autorizzato la Hsbc Holdings a vendere bond in renminbi a Hong Kong; poi, a settembre, il governo cinese ha emesso a Hong Kong titoli denominati in renminbi per un valore di circa un miliardo di dollari.
Tutte queste iniziative puntano a ridurre la dipendenza dal dollaro, sia in Cina che all'estero, incoraggiando importatori, esportatori e investitori a fare maggior uso della valuta cinese. Lo scopo ultimo è garantire a Pechino quella flessibilità e quelle prerogative finanziarie che derivano dall'essere un paese dotato di valuta pregiata.
Nessuno dubita che il renminbi crescerà. Per le stesse ragioni che hanno fatto diventare l'economia globale più multipolare, anche il sistema monetario internazionale diventerà più multipolare, con numerose valute che si spartiranno il ruolo di valuta di riserva. E nessuno dubita, considerate le dimensioni e le prospettive di crescita della Cina, che un giorno il renminbi diventerà una valuta internazionale importante.
Il dubbio è quando accadrà tutto questo. Gli osservatori più prudenti sottolineano che per fare del renminbi un'autentica valuta internazionale ci vorrà tempo. Per renderla attraente a quei privati e a quelle istituzioni che vorranno usarla, bisognerà che la Cina costruisca mercati finanziari estesi e liquidi. E questo significa sviluppare sistemi di compensazione e transazione più affidabili e trasparenti. Servirà un asset di riferimento, una curva dei rendimenti ben definita e una massa critica di operatori di mercato. E per costruire tutti questi aspetti di un mercato liquido ci vuole tempo.
Inoltre, questi mercati dovranno essere aperti al resto del mondo. In altre parole, la Cina dovrà aprire fino in fondo i movimenti di capitale se vuole che il renminbi diventi davvero una valuta internazionale. E per fare questo, bisognerà che le banche e le imprese statali adottino un approccio commerciale a tutti gli effetti, e il tasso di cambio dovrà diventare più flessibile. Insomma, serviranno cambiamenti fondamentali nel modello di crescita cinese. Tutto questo per ricordare che non è un compito che può essere assolto dall'oggi al domani.
Ma la storia degli Stati Uniti indica che questo processo può essere completato in tempi più rapidi di quanto comunemente si ritenga. Nel lontano 1914, il dollaro non aveva praticamente alcun ruolo a livello internazionale. Nessuna Banca centrale deteneva riserve estere in dollari; nessuno emetteva obbligazioni estere in dollari. Andavano tutti a Londra, e questo consentiva alle banche britanniche di finanziare le loro transazioni e di condurre i loro affari in sterline. Perfino gli importatori ed esportatori Usa che avevano bisogno di crediti al commercio li ottenevano a Londra piuttosto che a New York. E facevano i loro affari in sterline piuttosto che in dollari.
Questo "Londra piuttosto che New York" vigeva ancora nel 1914, quando l'economia Usa era già grande più del doppio di quella britannica, ed era dovuto al fatto che la Gran Bretagna era stata la prima nazione a diventare una potenza industriale, un paese esportatore e un investitore estero. Questo per ricordare che partire per primi costituisce un vantaggio considerevole nella competizione per lo status di valuta di riserva.
Ma questa situazione rifletteva anche il fatto che gli Stati Uniti non disponevano dell'infrastruttura di mercato necessaria per consentire al dollaro di giocare un ruolo internazionale. In particolare, gli Stati Uniti non disponevano di un mercato liquido di cambiali commerciali, lo strumento usato per finanziare l'import-export. E non disponevano di una Banca centrale che potesse sostenere questo mercato.
Tutto cambiò nel 1914, con la creazione della Federal Reserve. Una delle prime azioni della nuova Banca centrale fu incoraggiare lo sviluppo di un mercato di cambiali commerciali, e lo fece usando pronti contro termine per acquistare, per proprio conto, la maggioranza delle cambiali commerciali emesse a New York: in questo modo, garantì che gli spread rimanessero bassi e i prezzi rimanessero stabili.
La conseguenza di questo supporto pubblico fu che gli investitori privati acquistarono fiducia nel nuovo strumento. E man mano che partecipavano sempre di più, il mercato delle cambiali commerciali diventava più liquido. A metà degli anni 20, New York sorpassò Londra come fonte di finanziamento agli scambi. A questo punto, la Fed poté ridurre il livello dei suoi interventi e lasciare il mercato agli investitori privati. E dove andavano gli investitori privati, le Banche centrali seguivano a ruota. Nella seconda metà degli anni 20, le riserve in dollari delle Banche centrali avevano superato le riserve in sterline. Ma ci volle quasi un decennio, partendo da zero, perché la nuova valuta internazionale spodestasse quella in carica.
  CONTINUA ...»

27 Novembre 2009
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