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GEOPOLITICA / L'altalena dell'America Latina

DI mOISES nAIM

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27 OTTOBRE 2009

Fino a pochi anni fa il Messico era il simbolo del successo dell'America Latina, mentre il Brasile ne rappresentava il fallimento. Oggi accade il contrario.
Le riforme politiche ed economiche del Messico negli anni 90 furono esemplari. Tutto a un tratto, il paese si liberò di quell'ipernazionalismo che gli impediva di rapportarsi in maniera costruttiva con gli altri paesi del mondo, in particolar modo con il problematico vicino del Nord. Allo stesso tempo, il paese si svincolò in maniera non violenta da un sistema politico che negli ultimi settant'anni era stato dominato da uno stesso partito. La firma del trattato di libero scambio con gli Stati Uniti e il Canada; il suo ingresso nell'Ocse, il "club dei paesi ricchi"; il suo rapido recupero in seguito alla crisi finanziaria del 1994; la sua successiva stabilità economica; il suo potenziale petrolifero; il suo fascino quale meta turistica; le dimensioni della sua economia (occupa infatti l'11ª posizione tra i paesi con le economie più sviluppate) oltre alla sua privilegiata posizione geografica, hanno fatto del Messico la promessa dell'America Latina. Nei forum internazionali, e nelle testate giornalistiche, a fare da protagonista - e a rappresentare la speranza, era il Messico, e non l'altro gigante continentale: il Brasile. Si continuava a fare del sarcasmo nel dichiarare che il Brasile era il paese del futuro... e che avrebbe continuato a esserlo. Per sempre.

Non più. Ora, il Brasile è la speranza e il Messico è fonte di apprensione. La percezione generalizzata è che mentre il Brasile sta prendendo il volo, il Messico si sta impantanando. Nell'ultimo anno l'economia brasiliana è cresciuta del 5% mentre quella messicana soltanto dell'1 per cento. Assieme alla Cina e all'India, il Brasile è uno dei paesi che meno ha sofferto in seguito alla crisi economica mondiale. Al contrario, il Messico è una delle nazioni maggiormente colpite. In Brasile l'occupazione ha già raggiunto i livelli che si registravano prima della crisi. Le cifre finanziarie sono altrettanto sorprendenti: quest'anno le banche brasiliane hanno concesso il 60% dei crediti emessi in tutta l'America Latina. L'incremento della Borsa ha registrato un +144 per cento.
In passato, il Brasile mendicava denaro all'Fmi; oggi, è in grado di prestarglielo. Il magnetismo finanziario del Brasile è così forte che il governo, tentando di frenare l'enorme flusso di capitali in entrata, ha recentemente introdotto un'imposta sugli investimenti stranieri («Una saggia misura», ha commentato il conservatore Financial Times).
I messicani accolgono queste notizie con nostalgia, ricordando i tempi in cui queste si riferivano al proprio paese. Provano inoltre invidia nei confronti del Brasile, che si sta convertendo in una potenza petrolifera mondiale, mentre una combinazione suicida di restrizioni legali, politici irresponsabili e sindacati impedisce al Messico di sviluppare il suo enorme potenziale in questo settore.

L'aspetto più importante è che il progresso del Brasile non è soltanto economico. Negli ultimi anni, 20 milioni di brasiliani sono usciti dallo stato di estrema povertà e la distribuzione del reddito è migliorata, nonostante continui a situarsi tra le peggiori al mondo. Anche il Messico ha registrato notevoli progressi sociali e un'importante espansione della classe media. Tuttavia, questo progresso è stato limitato da un'economia rallentata e, in epoche più recenti, da una valanga di altri problemi: la violenza dei narcotrafficanti, il virus H1N1, la caduta delle esportazioni e delle rimesse estere, degli investimenti, del turismo, del petrolio, e molto altro ancora.
Il Brasile si è sostituito al Messico anche in termini d'influenza internazionale. Il Brasile è diventato un paese indispensabile nei negoziati che riguardano l'ambiente, il commercio, le riforme del sistema finanziario e addirittura la nonproliferazione nucleare. Emblematico è il fatto che in occasione della crisi in Honduras, il Brasile abbia ricoperto un ruolo da protagonista più del vicino Messico.

Quanto appena detto non significa che il Brasile abbia già superato i suoi enormi problemi. Nel paese si verificano tragedie sociali della stessa gravità o addirittura maggiore rispetto al Messico. I criminali brasiliani non hanno niente da invidiare a quelli messicani. Inoltre, nelle differenze tra Messico e Brasile anche il caso, la geografia e la geopolitica hanno giocato un ruolo importante. Non è colpa del governo messicano se il virus H1N1 ha colpito la nazione e ne ha rovinato il turismo. Oppure che la Cina sia un ottimo partner commerciale per le materie prime brasiliane nonché un pessimo concorrente per i prodotti messicani.
In ogni caso, la realtà è che, per adesso, il Brasile si sta staccando dal Messico. Le spiegazioni sono tante. Ma una, a mio parere la principale, è che il progresso del Messico è stato bloccato dai suoi stessi cartelli. E non mi riferisco ai cartelli della droga. Mi riferisco alle aziende private, i sindacati, i gruppi politici, le università, i mezzi di comunicazione e le associazioni professionali che limitano la concorrenza all'interno dei rispettivi settori. In Messico proliferano i cartelli, molti dei quali godono di privilegi e poteri di veto che impediscono il verificarsi di cambiamenti senza i quali il paese continuerà in questa fase stagnante. Speriamo che la concorrenza con il Brasile possa stimolare quella all'interno del Messico.
(Traduzione di Graziella Filipuzzi)

27 OTTOBRE 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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