Cosa unisce i due personaggi del momento, ossia Pierluigi Bersani e Giulio Tremonti? In apparenza poco, salvo la coincidenza temporale: il primo diventa segretario del maggior partito d'opposizione nelle stesse ore in cui il secondo è protagonista di un drammatico contrasto all'interno del Pdl: il conflitto più grave da quando è nato l'attuale governo Berlusconi.
A ben vedere, però, Bersani e Tremonti sono uniti da un filo più solido. Entrambi guardano alla società e ai processi economici con l'ambizione di trarne una sintesi politica generale. Il primo per tirare il Partito Democratico fuori dalla palude in cui si è da tempo arenato. Il secondo per delineare un centrodestra del futuro che non sia più dipendente dal carisma di Berlusconi, ma capace di definirsi maggioranza nel paese in nome di principi riconosciuti: a cominciare dal massimo rigore nella spesa pubblica in tempi calamitosi.
In altre parole, nutrono entrambi un'ambizione alta: quella di essere gli uomini del domani nei rispettivi campi. Bersani è stato eletto leader del Pd e non candidato premier, ma nulla vieta di credere che alla vigilia delle prossime elezioni politiche, che non è detto siano nel 2013, sia proprio lui il prescelto: a patto che mantenga le promesse e riesca a ricostruire, non solo il Pd, ma soprattutto un rapporto positivo con i ceti produttivi che hanno abbandonato la sinistra per sostenere la Lega o direttamente il partito berlusconiano. Come si capisce, un'impresa non proprio agevole.
Quanto a Tremonti, da lui è venuta nelle ultime ore la minaccia più insidiosa alla leadership consolidata del presidente del Consiglio. Tremonti ha rivendicato la gestione esclusiva della politica economica e fiscale del governo: una mossa che non deriva solo dal suo cattivo carattere, ma soprattutto dalla necessità di difendere la propria credibilità, anche internazionale, rispetto all'assedio permanente a cui il ministro del Tesoro è sottoposto. Può darsi che Tremonti sia destinato a perdere la sua battaglia nel Pdl, nonostante l'appoggio esplicito di Bossi, ma è evidente che Berlusconi commetterebbe il più grave degli errori se rinunciasse al suo ministro più significativo e più conosciuto in Europa, magari spingendolo alle dimissioni.
La verità è che un'eventuale uscita di scena tremontiana non sarebbe indolore per Berlusconi. Aprirebbe una ferita non facilmente risanabile con quella fascia di opinione pubblica che per il presidente del Consiglio è davvero irrinunciabile. Senza contare la scia di incomprensioni nel rapporto con la Lega. Se c'è una logica, il compromesso tra Berlusconi e Tremonti dovrebbe essere inevitabile. Il che avrebbe un significato: la politica economica e fiscale continuerebbe a essere gestita in larga misura nel palazzo di via XX settembre. E dal conflitto, ancorché ricomposto, emergerebbe un ministro dell'Economia dal profilo politico più accentuato. Un ministro in grado di sopravvivere a un braccio di ferro con Berlusconi, il che non è poco.
Dal canto suo, Bersani ha senza dubbio interesse a vedere Tremonti confermato nella sua poltrona. In primo luogo per una ragione politica immediata. Si tratterebbe di un freno posto a Berlusconi e di un fattore di contraddizione all'interno del centrodestra. Ma c'è un motivo più profondo. Proprio perché provengono dallo stesso ceppo di studiosi dell'economia reale, nonostante le idee diverse, Bersani e Tremonti potrebbero avere qualche possibilità di intendersi in futuro. Si muovono lungo gli stessi sentieri, attenti al territorio e alle esigenze pratiche del mondo produttivo.
Tremonti, ma in particolare la Lega dietro di lui, rappresenta quella parte d'Italia, soprattutto nel settentrione, che ha voltato le spalle alla sinistra e ha dato il via all'era berlusconiana. Al punto che oggi vuole ritagliarsi uno spazio anche pensando al dopo Berlusconi. Bersani si rivolge a quegli stessi ceti per riportarli nell'alveo di una sinistra riformista più consapevole della propria identità e ammaestrata dalle sconfitte. Per riuscirci ammette che nel Nord la sua parte politica ha commesso negli anni errori macroscopici, in particolare ignorando le ragioni delle imprese. O addirittura considerando imprenditori, artigiani e commercianti alla stregua di pericolosi evasori.
Entrambi corrono parecchi rischi. Bersani ha preso in mano un partito gravemente malato e deve costruirgli intorno un sistema di alleanze dagli incerti confini. Tremonti è tutt'altro che sicuro di non finire presto o tardi schiacciato nella morsa degli «amici». L'uno e l'altro però hanno capito che la loro partita politica comincia ora. È adesso, in questo lungo e lento tramonto della stagione di Berlusconi, che si possono piantare le fondamenta politiche del domani. Per salvare non tanto il bipolarismo, quanto un sistema politico-istituzionale in grado di rinnovarsi.