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Nella commovente scena finale passato e presente si incontrano in due bambini, uno scugnizzo e uno scolaro, che da stagioni diverse si sorpassano nel tempo, mentre sulla strada polverosa girano le trottole, «strummule» in dialetto, e la mosca che un artigiano ha nascosto dentro il legno vola via, viva e felice.
Non siamo migliori del nostro passato, è la morale di Tornatore, ma neppure peggiori. Come i nostri padri faremo il bene tutte le volte che lavoreremo per «Baarìa», la comunità, e il male quando ci disperderemo nell'egoismo. Presto le divisioni acide dei talk show tv di oggi ci appariranno goffe e grottesche come le baruffe politiche di allora, urlate in strada da gracchianti altoparlanti. Come per i «baarioti» ci salverà la dignità di sperare insieme, provando a colpire con un sasso fortunato le tre rocce magiche della rupe.
«Baarìa» ha nostalgia non di un'Italia povera e lacera, la fame non è ecologica, ma di un'Italia che voleva vivere meglio, allegra, sfrontata, irriducibile, comunque andasse a votare nelle sbilenche cabine dei seggi elettorali. Si scrive «Baarìa» e si legge Italia, nella speranza che anche la mosca nascosta nella nostra anima nazionale sia viva e felice e pronta di nuovo a volare. Un film bello, un film «politico» solo in quanto la politica può ancora – deve ancora – essere speranza.
gianni.riotta@ilsole24ore.com